Gli episodi che hanno fatto la storia del rugby. Fu vera meta?

The Originals:New Zealand squad for their 1905-06 tour: (back row, l-r) John Corbett, Massa Johnston, Bill Cunningham, Frederick Newton, George Nicholson, Bronco Seeling, O Sullivan, Alex McDonald, Duncan McGregor, James Duncan; (middle row, l-r) Eric Har Nel 1905 gli Originals, la nazionale neozelandese in tournée nel Regno Unito, vinse tutte le partite. Tranne quella con il Galles. Ma il risultato finale fu deciso da una decisione arbitrale che non concesse una meta agli Originals. Ma Bob Deans aveva segnato. Oppure no?


Cardiff, 16 dicembre 1905.

Non fa tanto freddo e c’è il sole, anche se le piogge dei giorni precedenti hanno reso il terreno dell’Arms Park una sorta di pantano.

Lo stadio è pieno all’inverosimile, le cifre ufficiali parlano di 47mila persone, accalcate già da ore intorno al campo, mentre altre 20mila non sono riuscite a entrare.

In programma c’è l’ultima partita, la più importante dell’intera tournèe degli Originals, la nazionale neozelandese, che sin dall’inizio di settembre sta mietendo vittime in giro per la Gran Bretagna.

In quel tempo le tournèe duravano mesi, si trattava di vere e proprie campagne.

Hanno giocato 32 partite vincendole tutte e incassando solo 7 mete.

Ha già regolato Irlanda, Scozia e Inghilterra.

Ora tocca al Galles, vincitore della Triple Crown.

Gli Originals ( solo più tardi si chiameranno All Blacks) erano arrivati in nave, dopo 41 giorni di traversata e per i britannici e per l’Europa del rugby fu una brutta sorpresa.

il gioco dei neozelandesi era un mix di aggressività, grazia e potenza: passaggi precisi, ariosi, e potenti incursioni in velocità.

Gli avanti non erano una sorta di “operai” addetti ai lavori pesanti, ma erano veloci e partecipavano al gioco dei trequarti.

Dunque, nella partita con il Galles, la vittoria degli Originals avrebbe suggellato una superiorità schiacciante nei confronti dei “maestri britannici”.

Alla 14,20 i neozelandesi, in un silenzio assoluto, “recitano” la loro Haka, poi 47mila gallesi rispondono cantando “Land of My Fathers”, cominciando una rivalità speciale che dura ancora oggi, intatta nella sua intensità come allora.

Nell’aria c’è la sensazione che qualcosa di storico stia per accadere.

L’arbitro, lo scozzese John Dewar Dallas, rigorosamente in giacca e cravatta, fischia l’inizio del match.

Il pallone è una informe massa incrostata dal fango.

I gallesi cominciano fortissimo, prendono il sopravvento con la mischia e, dopo pochi minuti, il mediano Cliff Pitchard raccoglie una palla pulita dalla mischia e la apre velocemente dalla parte chiusa.

Un passaggio e l’ala Teddy Morgan si libera lungo la touche.

Corre, corre come il vento e deposita in meta, 3-0.

La trasformazione non riesce e il punteggio resta così.

Si scatena la furia dei neozelandesi, le provano tutte finché, verso la fine della partita, arriva l’occasione.

I gallesi vincono una touche e calciano lungo.

La palla non esce, l’ala Billy Wallace la prende al volo e parte in contrattacco.

Evita uno, due, tre placcaggi poi, bloccato da due avversari, riesce a passare al tre quarti-centro in sostegno.

Quel centro si chiama Bob Deans, è di Canterbury, ha 21 anni ed è il più giovane giocatore di quella squadra.

Nella tournèe ha giocato 21 partite, segnando 20 mete.

Deans riceve quell’ovale, se lo stringe forte al petto e parte verso la linea di meta.

Un frontino, una paio di cambi di direzione e la linea si avvicina, mentre l’ala e l’estremo gallesi si avvicinano nel disperato sforzo difensivo.

La meta è li, Deans si tuffa e tocca oltre la linea ma, nello stesso momento, tre gallesi gli sono addosso e nello slancio lo riportano di pochi centimetri indietro.

Deans resta li, sotto gli avversari.

Vede le scarpe da passeggio dell’arbitro che affondano nel fango mentre si avvicina e annulla la sua meta.

Gli Originals perdono quella partita 3-0, l’unica sconfitta in quattro mesi di tournée.

Ma, era meta o no?

Per l’arbitro no, così risulta dal referto, conservato ancora nel museo gallese del rugby, secondo il quale Deans poggiò il pallone tra i 6 e i 12 pollici (tra i 15 e i 30 cm) prima della linea.

Quel giorno in tutto il Regno Unito non si parlò d’altro.

I giornali dedicarono ampio spazio all’episodio, i testimoni, giocatori, pubblico e giornalisti erano discordi: nessuno aveva potuto vedere bene.

Per i gallesi non era meta, per il resto del mondo rugbistico si.

Deans non si diede pace: aveva segnato e poi era stato tirato indietro dal gallese Gabe.

Scrisse ai giornali di mezzo mondo, cercò testimoni, persino tra i giocatori gallesi e non si rassegnò mai.

Nessuno, in verità, in Nuova Zelanda si diede pace tant’è che, finché il vecchio Arms’ Park è stato in piedi, i neozelandesi di passaggio per Cardiff, si facevano accompagnare nel punto esatto in cui era avvenuto “il misfatto” per un breve minuto di raccoglimento.

Quella meta resterà nel mistero ed entrerà a far parte delle grandi storie e leggende di questo sport.


Bob Deans
morì nel 1908, a 24 anni, per le complicazioni di una banale appendicectomia.

Si racconta che, sul letto di morte, prima di chiudere gli occhi per sempre, in un filo di voce abbia detto “Was really try” (fu veramente meta).

Ma la storia di Bob Deans ha avuto un lieto fine, come è giusto che sia.

Ottantatrè anni dopo, nel 1988 un Nuova Zelanda-Galles a Christchurch vide l’esordio in maglia nera di un giovane estremo, Bruce Deans, pronipote di Bob.

E Bob, da lassù, avrà gioito vedendo un Deans, finalmente, segnare una meta al Galles.


2 Responses to “Gli episodi che hanno fatto la storia del rugby. Fu vera meta?”

  • emi78 Says:

    sarebbe a dire che non era meta?
    andrò a controllare
    la palla è rotonda anche nel Rugby?
    scoprolo su rieducational channel…

  • alessandro fusco Says:

    Sarebbe a dire che, con ogni probabilità, era meta ma non fu concessa dall’arbitro. Poichè nel rugby ciò che decide l’arbitro non si contesta la meta non c’è stata. La storia la dice lunga sul rispetto che va riconosciuto a chi dirige il gioco, anche se non siamo d’accordo con lui. Senza, non si potrebbe giocare

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