2011, anno azzurro?

Mallett scruta le stelle Se ne è andato il 2010 che ha visto l’ingresso – storico – di due squadre di club italiane in Magners Celtic League e arriva il 2011 recante nientemeno che la Rugby World Cup da giocare in Nuova Zelanda a settembre e ottobre quando l’Italrugby lotterà per il traguardo dei quarti di finale, falliti nel 2007 per un soffio. Tra questi due eventi, così cruciali da segnare per sempre la storia del rugby italiano, c’è il destino di uno sport giunto al bivio e che avrà un test decisivo nell’RBS Sei Nazioni 2011 che partirà il 5 febbraio, quando al Flaminio gli Azzurri ospiteranno l’Irlanda.

Proprio l’Irlanda sarà la principale avversaria (ammesso che batteremo gli USA e la Russia e considerando l’Australia fuori portata) per il passaggio ai quarti di finale alla prossima Rugby World Cup.

Sei Nazioni – vero core-business del rugby italiano – e accesso ai quarti al mondiale d’autunno : due obiettivi che determineranno il destino prossimo della palla ovale italiana.

O decolla definitivamente per entrare in pianta stabile nel cuore del grande pubblico o rischia, e i segnali sono già visibili, di esaurire l’onda lunga di simpatia che ne ha fatto un fenomeno da studiare.

Non si è mai vista in Italia, infatti, una squadra così popolare nonostante le sconfitte siano decisamente più numerose delle vittorie.

In realtà l’anno appena concluso manda in archivio due vittorie su dieci impegni, quella sulla Scozia nel Sei Nazioni (16-12 sull’erba del Flaminio) e quella sulle Isole Fiji (24-16 a Modena) nell’ultimo Test Match a novembre.

Il traguardo minimo.

In mezzo tre brutte disfatte – due nel Sei Nazioni contro Francia e Galles e una a giugno contro il Sudafrica – e una serie di prestazioni da collocare nella zona grigia delle “onorevoli sconfitte” che saturano l’almanacco azzurro.

Ricordato che il calendario stabilito dall’International Rugby Board riserva nelle ultime stagioni per Parisse e soci solo match contro le prime dieci del mondo (l’Italia è 12°), il ct Mallett e la FIR sono finiti nel mirino della critica perchè la gestione del movimento, tanto tecnica che politica, non ha saputo garantire il salto di qualità in grado di recare in dote le vittorie contro Argentina e, magari, Irlanda se proprio non  si vuol pensare all’Inghilterra.

Il rugby italiano ha ritenuto di concentrare il livello professionistico in Benetton Treviso e Aironi, i due club che partecipano alla Celtic League, ma il campionato nazionale (Eccellenza) ha perduto contenuti tecnici ancora non colmati dall’istituzione delle Accademie nazionali e zonali, pensate per allevare i giovani.

In attesa che le nuove generazioni si affaccino all’alto livello solleva perplessità la gestione dei talenti in questo momento a disposizione di Mallett, come dimostra – per fare un esempio – l’altalena per la maglia n.9 tra Tebaldi, ora caduto in disgrazia ma fino a poco fa esaltato anche al di sopra dei suoi meriti, e Gori, in forza alla Benetton Treviso che finora lo ha utilizzato pochissimo, e il problema è proprio qui.

Gli Aironi, che non fanno giocare Bocchino, e il Treviso, che ha lanciato Benvenuti ma ha preferito De Jager, Vilk e Maddok (che non gli fanno certo vincere la Celtic League) a Sepe e Andrea Pratichetti, dovrebbero rispondere nella gestione dei giocatori di interesse nazionale ad una etero-direzione federale.

per questo si è andati in Celtic League, con questo potremmo presentarci al Sei Nazioni e alla prossima World Cup con una speranza di crescita.

Il presidente Dondi ha l’occasione per lasciare davvero il segno, non la getti via.


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