Andy Irvine, la spina nel fianco

Andy Irvine
Prima regola: contrattaccare. Era questo il credo dell’estremo scozzese che con la sua corsa ha messo in crisi le difese di mezzo mondo, entrando nella storia del rugby. Andy Irvine è stato il più grande estremo d’attacco che la Scozia abbia mai visto.

Con 51 presenze con la maglia del Cardo, 15 da capitano, 3 Tournée dei Lions, più di 250 punti, 5 mete in un solo match, peraltro contro gli All Blacks, Irvine si è guadagnato un posto nell’Olimpo della palla ovale.

Numeri da capogiro che ci possono dare un idea del suo grande talento, un talento che gli permetteva all’improvviso di accendere la partita, come per magia, fin dal suo memorabile debutto a Murrayfield a 21 anni contro gli All Blacks di Ian Kirkpatrick.

Era il 1972 e, nonostante la sconfitta, il giovane estremo fu portato in trionfo dai tifosi per il modo entusiasmante di interpretare il gioco, senza paura di attaccare in qualunque momento, da qualsiasi parte del campo.

Andrew Robertson Irvine, nato ad Edimburgo nel 1951, si formò al George Heriot Instutute, per poi laureasi all’università di Edimburgo.

Fu destinato al ruolo di estremo quasi per tradizione, visto che sette tra i migliori estremi scozzesi di sempre (Dan Drysdale, Jimmy Kerr, Tommy Kerr, Ian Thomson, Ken Scotland, Colin Blaikie e Ian Smith), avevano frequentato tutti il suo stesso istituto e Andy non avrebbe potuto aspirare a un pedigree migliore.

Andy Irvine mise in mostra la sua classe fin dal suo primo incontro con il pallone da rugby, guadagnandosi molto rapidamente la fama di attaccante micidiale.

E fu proprio il ruolo di estremo che gli permise di esprimere al meglio le sue doti, quando riusciva a recuperare le palle alte, calciate dalle ali avversarie, umiliando la difesa nemica con contrattacchi travolgenti.

Non fu molto fortunato con i Lions perché nel ruolo di estremo gli preferivano un altro grandissimo, JPR Williams e quindi lo schieravano all’ala come nel tour del ’74.

Sia Williams che l’altro grande estremo scozzese, Bruce Hay (stroncato da un tumore all’inizio di ottobre, a solo 57 anni ), erano probabilmente superiori in difesa a Irvine, ma lo studente della Heriot aveva classe da vendere e non poteva essere tagliato fuori.

Aveva una corsa lineare e veloce, a scuola aveva vinto il titolo dei 100, 200 e 400 metri, e rifugiarsi in rimessa con un calcio non era nel suo stile, lui cercava sempre il contrattacco.

I Lions gli saranno eternamente grati per il record di punti segnati in Sud Africa, ben 156, per non parlare dei suoi 87 punti, con ben 11 mete, nel viaggio in Nuova Zelanda del 1977.

Persino gli All-Blacks si sono dovuti inchinare alla sua atipicità come estremo.

Durante un match con la Nuova Zelanda, riuscì a sorprendere e deliziare le folle con ben 5 mete, costringendo i Kiwi a rinunciare a calciare nella sua zona.

Nel ’74 un grave infortunio lo bloccò per tutta la stagione, ma con una grande forza di volontà riuscì a tornare in campo bruciando i tempi e più forte di prima.

Già idolo della folla, la sua popolarità aumentò a dismisura in tutto il Regno Unito: in lui non si vedeva solo il grande talento rugbistico.

Ora, dopo l’infortunio, se ne ammirava il lato umano.

Nel ’76 fu selezionato con i Barbarians per il tour di Pasqua, un’altra soddisfazione da aggiungere alla sua carriera di successo.

Nel ’79 gli scozzesi avevano la miglior linea dei tre quarti del 5 Nazioni, non supportata, però, da una mischia che aveva perso smalto.

La Scozia faticava, ma lui continuava a segnare: in meta, in quella edizione, contro Galles Irlanda e Francia.

E quella fu davvero la sua grande stagione, perché guidò anche il suo club, l’Heriot, alla vittoria nel primo campionato scozzese con una squadra che si identificava con lo stile del suo capitano.

Nel 1980 prese parte alla tournée dei Lions in Sud Africa e nell’82 guidò la Scozia alla prima vittoria all’Arms Park di Cardiff dopo 20 anni contro i gallesi che, costretti alla resa, interrompevano un record che durava da ben 27 partite.

Chiuse la sua carriera alla grande nello stesso anno: nel tour in Australia fu il capitano della prima vittoria esterna della Scozia contro i Wallabies, piegati 12 a 7 a Brisbane.

Fu, insieme, a Gavin Hastings, il miglior estremo scozzese di tutti i tempi, con i suoi scatti brucianti e i suoi imprevedibili cambi di passo.

In un recente sondaggio in patria in molti lo hanno votato considerandolo il miglior estremo d’attacco dell’era moderna, anche se il piede di Gavin Hastings era sicuramente più micidiale del suo.

Nel 2005 Irvine è diventato presidente della Scottish Rugby Union, carica che ha lasciato da pochi mesi.

Come presidente della SRU ha appoggiato chi chiedeva la chiusura del Border Reivers, club professionistico che era stato la spina dorsale del Rugby scozzese negli ultimi 50anni.

Secondo alcuni, solo il neozelandese Christian Cullen può competere con Irvine per il titolo di più grande estremo d’attacco di tutti i tempi.


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