Un anno di rugby

Smit con la coppaRaccontare il 2007 del rugby è impossibile senza cominciare dalla World Cup di Parigi. La Francia ha ospitato l’edizione iridata più ricca della storia che ha lanciato definitivamente la palla ovale nell’olimpo dello sport professionistico. Piaccia o no ai puristi, oggi la Rugby World Cup è il terzo evento mondiale dopo Olimpiadi e mondiali di calcio quanto a seguito sui media e a giro d’affari.


La facile equazione più soldi = maggiori rischi di corruzione(dei costumi) sbatte contro la forza degli anticorpi dello Spirito del rugby.

Insieme con lui a vegliare sull’ortodossia di Ovalia ci pensa l’International Board.

Le ultime decisioni, come quella di conservare il numero di 20 partecipanti al mondiale per consentire la crescita dei “nuovi” Portogallo, Georgia e così via, fa ben sperare.

Con maggiore diffusione planetaria il rugby ha la possibilità di sfidare anche le discipline più popolari.

Dal punto di vista tecnico il mondiale ha detto ben poco di nuovo.

Il Sudafrica di Brian Habana, Player of the Year per l’IRB, ha vinto perché umile e fortissimo nei fondamentali classici – mischia chiusa, touche, gioco al piede.

La Nuova Zelanda, super-favorita, ha perso perché, forte di una presunzione basata su quattro anni di trionfi, è andata a cercarsi lontano dal “manuale del bravo rugbista” i motivi della propria disfatta, il turn-over su tutti.

Il ct Graham Henry, da poco confermato al suo posto al termine di un lungo “esame” del suo operato, ha svalutato, secondo molti, il valore della maglia nera proprio con la rotazione dei giocatori.

La conferma di Henry ha spinto il suo maggiore concorrente, il santone di Canterbury Robbie Deans, sulla panchina dell’Australia.

La scelta ha messo in subbuglio il rugby degli antipodi.

Deans è il primo non australiano a guidare i wallabies ma, soprattutto, è un ex-All Blacks e questo per gli australiani è inaccettabile.

Per avere un’idea, pensate a Bruno Conti che allena la Lazio!

Ma, rivalità a parte, Deans ha i numeri per risollevare le sorti del rugby Aussie.

Nella vecchia Europa intanto, la Francia deve riprendersi dallo shock della mancata finale dopo aver eliminato gli All Blacks.

Errori arbitrali a parte – il passaggio in avanti in occasione della meta di Traille griderà a lungo vendetta – è stato quel match a sancire l’addio del mai amato ct Laporte, passato alla politica.

I galletti si sono affidati all’inesperto Lievremont che annuncia di voler tornare alla tradizione del rugby-champagne.

La Francia ha perduto anche la finale per il terzo posto contro l’Argentina, vera novità al massimo livello.

I Pumas di Pichot e Contepomi con il terzo posto e un gruppo d’acciaio si sono guadagnati un posto a tavola, ma non in tempi brevissimi.

L’International Board ha indicato nel Tri-Nations il futuro sviluppo del rugby argentino che prima, però, dovrà creare un campionato professionistico in patria.

Proprio Pichot si è lamentato negli ultimi giorni dell’inadeguatezza della strategia dell’UAR sulla via della formazione di un campionato professionistico in Argentina.

Le potenti Unions australi, comunque, non hanno alcuna fretta di accogliere una pericolosa concorrente.

L’Inghilterra ha indicato in Ashton il coach che dovrà guidare il rinnovamento, nonostante le polemiche intorno alla conduzione dell’ultima campagna in World Cup.

Le nazionali celtiche non sono uscite bene dalla rassegna iridata.

Il Galles cerca la svolta affidandosi al coach neozelandese Gatland, mentre l’Irlanda ha confermato O’Sullivan e si è chiusa nella riflessione.

Il Sei Nazioni è alle porte e non permette altri fallimenti.


Leave a Reply