Dentro la crescita degli azzurri. I luogotenenti di Berbizier

Semplicità. Dietro i progressi dell’Italia del rugby, che stanno cominciando a trasformarsi in risultati come a Murrayfield una settimana fa, c’è la parola magica della gestione-Berbizier. Il piccolo generale di Saint-Gaudens comincia a vedere concretizzarsi il lavoro sul gruppo cominciato due anni addietro, quando accettò di guidare la squadra meno forte del Sei Nazioni.


Proprio attraverso la semplicità Berbizier ha scelto di costruire un gruppo, un sistema in grado di far crescere una squadra, se non un intero movimento, inculcando la cultura del lavoro, dell’attenzione per i particolari per limare i difetti con pazienza certosina.

Nel momento in cui i risultati cominciano ad arrivare, anche se ora ci vuole continuità dopo la vittoria in Scozia che ha fruttato il nono posto nel ranking internazionale dell’IRB (per la prima volta nella storia l’Italia e nella top-ten, n.d.r.), bisognerebbe avviare una riflessione sul dopo-Mondiale, quando bisognerà rivedere le posizioni di tutti e impostare un nuovo ciclo qualunque sarà il risultato della rassegna iridiata.

Pe la Federazione e per il rugby italiano perdere Berbizier sarebbe un delitto imperdonabile.

Per trattenerlo in Italia ci vorrebbe un progetto con un minimo di “visione”, magari il conferimento dei pieni poteri di direzione tecnica ad un uomo che ha dimostrato con i fatti – se mai ce ne fosse stato bisogno – la sua competenza e la sua capacità non solo tecnica ma, soprattutto, di gestione organizzativa del sistema.

Ovvio che un progetto simile richiederebbe una buona dose di coraggio e di capacità di copertura politica per le decisioni che sembrano ormai irrinunciabili per la crescita del rugby italiano che, specialmente dopo la World Cup2007, giungerà ad un momento di scelte epocali.

Intanto, Berbizier guida la squadra azzurra da par suo e la crescita del gruppo non può sfuggire.

Dopo la sfortunata trasferta londinese, dove un arbitraggio più equo e meno…solidale con i bianchi della rosa avrebbe dato agli azzurri la possibilità di anticipare il trionfo di Edimburgo, il Napoleone azzurro ha visto i suoi uomini strapazzare a domicilio la Scozia ottenendo una vittoria la cui portata storica emergerà ancora meglio se avrà un seguito già da sabato prossimo vontro il Galles.

Per guadagnare posizioni nel ranking internazionale e credito presso istituzioni ed avversari l’Italia ha un disperato bisogno di vittorie, gli elogi non sono più sufficienti.

Per raggiungere i suoi obiettivi Berbizier, come tutti i condottieri, ha costruito uno staff che sta lavorando con grande armonia ed efficacia.

La bravura dello skipper sta nello scegliere i collaboratori, nel motivarli e, soprattutto, nel responsabilizzarli per sfruttarne al meglio l’opera al servizio del bene comune.

Dal video-anlyst al preparatore atletico, dall’allenatore dei tre-quarti al medico, dal coach della mischia ai fisioterapisti attualmente uno staff di una squadra di massimo livello nel rugby internazionale ha bisogno di un gruppo di lavoro articolato, efficiente e competente che lavori con unità di intenti e armonia.

Oggi l’Italia ne possiede uno e non ci si può dimenticare dei meriti di chi lo ha scelto e lo guida.

Ma può essere interessante conoscere meglio i singoli che stanno dietro alla parola staff, che spesso non hanno l’onore delle cronache, che non appaiono sotto i riflettori ma che, con il loro lavoro quotidiano, con una fatica non inferiore a quella dei giocatori che vanno in campo, rendono possibile la realizzazione sul campo di ciò che il gruppo è in grado di produrre, così come è successo sull’erba di Murrayfield, finalmente violata dal rugby azzurro.

Simone Santamaria, classe ’79 video-analyst dello staff di Pierre Berbizier, è l’ennesimo prodotto di un vivaio che ha dato e sta dando molto al rugby azzurro, quello della Lazio.

Proprio tra i biancocelesti Santamaria ha mosso i primi passi nel mondo ovale, per affinare poi la sua formazione in Sudafrica, prima nelle fila dei Maties di Stellenbosch e poi presso il South African Rugby Institute.

Nel rugby moderno il lavoro di analisi delle cifre assume un’importanza fondamentale:”Dopo ogni match – spiega Simone – affrontiamo una fase che chiamiamo di bilancio nella quale analizziamo la partita dal punto di vista quantitativo e confrontiamo i dati con il piano di gioco per verificarne la coerenza.

Questa fase vede un lavoro molto profondo di analisi critica che resta tra i componenti dello staff.

Ai giocatori è importante lasciare sempre un feed-back positivo, semplificando loro la lettura del match attraverso un paio di punti-chiave.”

Molto complesso anche il lavoro di analisi degli avversari:”Per il Galles abbiamo preparato, come sempre, un vero e proprio dossier su tutte le ultime partite giocate, sull’analisi del rendimento di ciascun giocatore e così via, con l’obiettivo di individuare i punti di forza e i punti deboli per preparare il piano di gioco.”

Anche nel lavoro di trasmissione delle informazioni ai giocatori Berbizier predica il concetto fondamentale, quello della semplicità:”Con i ragazzi non usiamo mai la parola “negativo”, Pierre ci tiene a rendere positivi tutti gli aspetti. La sua più grande qualità sta nel responsabilizzare i suoi collaboratori e nell’ascoltare ogni componente dello staff, per poi sintetizzare il lavoro comune che deve migliorare attraverso il confronto.”

Carlo Orlandi ha alle spalle 42 cap da tallonatore con la maglia azzurra che ha onorato dal 1992 al 2000, costituendo con Properzi e Massimo Cuttitta una prima linea memorabile, protagonista di un periodo d’oro per il rugby italiano.

Dopo aver lavorato come tecnico per le nazionali U.19 e U.21, dal 2003 è il responsabile per gli avanti della nazionale maggiore.

Il “suo” reparto è il punto di forza dell’Italia.

Il ct della Scozia ha definito il pack azzurro formidabile, mentre dall’Inghilterra Ashton e Sua Maestà Jonny Wilkinson lo hanno elogiato senza riserve:”Ho la fortuna di lavorare con ottimi elementi che giocano tutti in club di alto livello, in Francia e in Inghilterra ma anche in Italia.

Dico tutti – spiega Orlandi - proprio per sottolineare come, a differenza di ciò che si pensa generalmente, stanno emergendo anche i giocatori che fanno parte di squadre italiane del Super10, penso a Zaffiri, Sole e al giovane Zanni.

Rimanendo in Italia, abbiamo l’obiettivo di portare verso il basso – mi riferisco all’U.21 e all’U.19 – il nostro metodo per rendere omogenea la formazione dei giocatori.”

Non è necessario valicare le Alpi per fare buon rugby?:”Certamente. Penso che se i club italiani avessero il budget dello Stade Francaise, per fare un esempio, anche loro raggiungerebbero buoni risultati.”

Orlandi ha costruito una mischia dominante:”Il nostro lavoro ha la difficoltà del tempo. Considerando una settimana tipo, abbiamo quattro allenamenti effettivi con una seduta per la mischia ordinata, una per la touche e due per le fasi do movimento, non molto.

Dobbiamo sintetizzare le varie esperienze dei giocatori e adattarle al nostro sistema.

Potremo migliorare sui particolari quando, nel lungo ritiro pre-mondiale, avremo più tempo a disposizione.”

Quando, circa due anni orsono, Berbizier assunse l’incarico di ct azzurro decise di portare dalla Francia un coach specifico per i tre-quarti e per la fase offensiva. La scelta cadde su Jean-Phillippe Cariat, francese di Riscle della regione dei Pirenei atlantici, estremamente feconda per il rugby.

Con un passato da giocatore come utility-back, in grado cioè di ricoprire tutti i ruoli della linea arretrata, Cariat, classe ’54, ha avuto una ricca esperienza come capo-allenatore in Francia guidando Grenoble, Pau e Colomiers che condusse alla finale perduta contro lo Stade Francaise nel 2000.

Lo scorso anno si confrontò con la penuria numerica dei tre-quarti azzurri:”Ai primi allenamenti in preaparazione del Sei Nazioni ricordo che eravamo un poco preoccupati, visto che avevamo sul campo, tra infortuni ed assenze varie, solo tre uomini!

Poi con l’impiego di Canavosio all’ala e qualche accorgimento risolvemmo la situazione.”

A novembre, con l’esplosione di Bortolussi ad estremo e di Stanojevic nel ruolo di ala i problemi sembravano di abbondanza:”Ed invece ci siamo ritrovati ad affrontare il Sei Nazioni 2007 proprio senza David e Marco, fuori per infortunio così come Canavosio e senza dimenticare Ludovico Nitoglia.

Fortuna che abbiamo ragazzi bravi e disponibili come De Marigny, Dallan e Pratichetti che hanno colto l’opportunità di essere protagonisti.”

Tra i miglioramenti registrati dall’Italia con la gestione “francese” c’è proprio quello del gioco dei tre-quarti:”Abbiamo avviato un lavoro in profondità che sta dando i suoi frutti.

Ora i giocatori hanno ben chiaro cosa devono fare quando hanno il possesso del pallone, ma dobbiamo ancora migliorare molti aspetti, come la capacità di essere più concreti quando dobbiamo realizzare punti.”


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