Il calcio vuole imitare il rugby. Ci riuscirà?

La strada potrebbe essere quella giusta. Lo spirito dell’iniziativa che domenica scorsa ha portato i giocatori della Forentina a fare ala agli avversari dell’Inter al termine del match di calcio per applaudirli all’uscita dal campo è inusuale, ma solo per il calcio.


Nel rugby, dal quale è stata mutuata, è una consuetudine alla fine delle partite pìù combattute ma è spontanea, non è certo imposta dal Codice.

Poggia su due dei pilastri fondamentali della cultura della palla ovale.

Riconoscimento dellavversario e Rispetto.

Bene.

Anche se non si chiama “Terzo Tempo” – come hanno scritto molti -, che è invece la festa dopo la partita in cui si beve e si mangia insieme e che regala un senso alla battaglia combattuta sul campo.

Appunto di cultura sportiva mi sembra il problema che affligge il calcio italiano.

Questo sport è malato, molto più di quanto i mezzi d’informazione ufficiali hanno interesse a rendere noto.

La malattia ha radici profonde che traggono nutrimento proprio dal prevalere di valori negativi come l’eccessiva, patologica importanza data al risultato, la mancanza di rispetto per le regole e per gli avversari, la necessità di diffondere la cultura del sospetto circa la buona fede altrui.

L’augurio è che questa iniziativa non rimanga isolata sull’onda dell’emozione di fronte alle morti di Emanuela Prandelli e di Gabriele Sandri, che serva a riflettere e spinga ad accettare nuove regole, valori fondanti.

A leggere gli striscioni del Cibali e ad ascoltare gli slogan degli Ultrà siciliani si direbbe un’impresa disperata.

Addirittura assurde le titubanze del Consiglio di Lega nel concedere il permesso all’iniziativa, si fa fatica a credere che le cose possano cambiare.


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