RBS Six Nations 2012, l’Italia sconfitta duramente a Dublino

Ghiraldini contro l'Irlanda L’Italrugby torna da Dublino con i segni di una batosta pesante nelle proporzioni e nello spirito nel terzo turno dell’RBS Six Nations 2012. Il 42-10 rimediato all’Aviva Stadium dall’Irlanda è impietoso nel definire le proporzioni del solco che, in questo momento, ci separa dai migliori del mondo. Il match costituisce un deciso passo indietro rispetto ai progressi mostrati a Parigi e a Roma dove, pur nella sconfitta, l’Italia dava l’impressione della crescita progressiva. Ieri la bella squadra del primo tempo – terminato sul 17-10 grazie alla entusiasmante meta di Parisse – si scioglie come il ghiaccio all’insolito sole di Dublino quando, emblematicamente, Botes fallisce al 45′ un calcio piazzato al centro dei pali da centrare con una benda sugli occhi.

Da quel momento molti azzurri escono dalla partita per non farvi più ritorno, lasciando ai levrieri irlandesi praterie solo sognate nel primo tempo dai nostri avversari.

Il match comincia bene con l’Italia tonica e propositiva che guadagna due calci di punizione al 3′ e all’8′.

Botes trasforma solo il secondo per il 3-0 pareggiato già all’11′ da Sexton (7/8 dalla piazzola, beati loro…). Al 16′ Earls scardina il fortino azzurro in capo a un drive nato da un bel buco di D’Arcy.

Sul 10-3 dopo qualche minuto di sbandamento l’Italia si riorganizza e comincia a risalire il campo, portando l’ovale nella metà irlandese.

Gli avanti si sobbarcano il solito super-lavoro e i tre-quarti li sostengono con coraggio, la squadra mostra in questo periodo del match lo spirito invocato alla vigilia da Brunel producendo altre due occasioni per il piede di Botes, regolarmente fallite.

Una punizione (abbordabile) al 28′ finita sulla traversa e un drop (facile) al 30′.

Dall’inizio gli errori ammontano a un totale di 9 punti perduti, un macigno sulle spalle degli azzurri che, inesorabilmente, cominciano a curvarsi.

Ma lo spirito arde ancora e c’è birra nelle gambe dei giovani compagni di Parisse. Al 35′ è Zanni, splendido per tutto il match insieme con Barbieri, a rubare una rimessa laterale in zona d’attacco agli irlandesi.

Barbieri lo sostiene, Gori serve Botes e lui fa la cosa migliore del suo match lanciando in meta Parisse.

Il capitano festeggia così il record di presenze da skipper azzurro, i 5000 italiani urlano di gioia e guardano festanti il 10-10 sui maxi-schermi, ma il tripudio dura poco.

Al 39′ è Bowe a violare l’area di meta dell’Italia, Sexton trasforma e all’halftime siamo sul 17-10, ma il match è ancora aperto.

La ripresa si apre con una splendida Italia che nei primi 5′ di gioco mette sotto gli irlandesi con coraggio e lucidità, guadagnando un’altra punizione al centro dei pali.

Ma il piede di Botes tradisce di nuovo, la volontà degli azzurri si spezza e la rivoluzione di Brunel fallisce sull’erba di Dublino.

Da qui in avanti gli italiani smettono di placcare lasciando la scena alle frecce verdi.

Al 61′ ancora Bowe, al 77′ Court e all’80′ Trimble perfezionano la disfatta azzurra.

Si salvano la touche e il reparto di terza linea, troppo poco.

IRLANDA – ITALIA 42-10
Sabato 25 febbraio, ore 14.30 – Aviva Stadium, Dublino
Irlanda: 15 Rob Kearney, 14 Tommy Bowe, 13 Keith Earls (68′ Fergus McFadden), 12 Gordon D’Arcy (70′ Ronan O’Gara), 11 Andrew Trimble, 10 Jonathan Sexton, 9 Conor Murray (54′ Eoin Reddan), 8 Jamie Heaslip, 7 Sean O’Brien (59′ Peter O’Mahony), 6 Stephen Ferris, 5 Paul O’Connell (c), 4 Donncha O’Callaghan (59′ Donnacha Ryan), 3 Mike Ross, 2 Rory Best (70′ Sean Cronin), 1 Cian Healy (70′ Tom Court).
Italia: 15 Andrea Masi, 14 Giovanbattista Venditti, 13 Tommaso Benvenuti, 12 Alberto Sgarbi (64′ Gonzalo Canale), 11 Luke McLean, 10 Tobias Botes (59′ Kris Burton), 9 Edoardo Gori (72′ Fabio Semenzato), 8 Sergio Parisse (c), 7 Robert Barbieri (64′ Simone Favaro), 6 Alessandro Zanni, 5 Marco Bortolami, 4 Quintin Geldenhuys (59′ Antonio Pavanello) 3 Lorenzo Cittadini (68′ Fabio Staibano), 2 Leonardo Ghiraldini (72′ Tommaso D’Apice), 1 Michele Rizzo.
Arbitro: Craig Joubert (South Africa); Nigel Owens (Wales), David Changleng (Scotland); Nigel Whitehouse (Wales)
Marcatori: 8′ cp. Botes, 11′cp. Sexton, 16′ m. Earls tr. Sexton, 36′ m. Parisse tr. Botes, 40′ m. Bowe tr. Sexton, 49′ cp. Sexton, 58′ cp. Sexton, 61′ m. Bowe tr. Sexton, 78′ m. Court tr. Sexton, 80′ Trimble


10 Responses to “RBS Six Nations 2012, l’Italia sconfitta duramente a Dublino”

  • Pino'Z Says:

    Finalmente anche la stampa comincia non avere più il coraggio di avvallare questa nazionale o meglio il suo direttivo. Finalmente discorsi di maglia, onore, franchigie, accademie lasciano il posto allo sconforto più totale:

    Massimo Calandri (Repubblica) “quando si perde così è lecito chiedere se questa Italia meriti davvero di restare nel Sei Nazioni”

    Philippe Saint-Andrè (Tecnico Nazionale Francese) “”l’Italia di solito dura solo un ora dopo scoppia”

    Vittorio Munari (commentatore e DG Benetton TV) “inutile chiamare Renzo Piano per togliere acqua dalla cantina, bastano due macedoni, e comunque resta sempre una cantina”

    Matt Williams (Irish Times) “la Federazione Italiana si muove come la Chiesa Cattolica e la mafia: richiede i miracoli ed è pronta a puntare la pistola all’allenatore se non li fa”

    Dondi (Presidente FIR) “speriamo sia solo un caso, ci vorrebbe la bacchetta magica, e del resto anche le nostre franchigie prendono trenta punti a partita”

    …che dire? Inutile ripetere quanto scritto negli anni: inutile affidare le Accademie a personaggi più o meno ignoti per creare giocatori scelti e avvalalti dalle società e da criteri scellerati. Chiaro che portare il rubgy all’Olimpico di Roma significa un gruzzolo considerevole, chiaro che giocare in Magner League significa poter contare su sterline fresche, ma il rugby? Chi parla più di questo strano sport se non per elogiare il terzo tempo, la maglia, il sudore, l’onore? Be per me c’è altro anzi deve esserci dell’altro se no il giocattolo non funziona: anzichè spendere i soldi nelle franchigie, adottare tecnici che veramente cosa hanno vinto e soprattutto con chi, adoperiamoci per poter far crescere il livello dei giocatori imponendo tecnici di qualità a tutti i livelli: imponiamo ai tecnici un corso di aggiornamento superiore almeno ogni due anni, già per la serie B e soprattutto per le varie Under onde evitare di affidare ragazzi, atleti, a personaggi che si dicono vincenti ma che in realtà hanno vinto qualche partita a tombola e si vede ovunque. Alziamo dalla base il livello di tecnici, arbitri, dirigenti e di conseguenza, solo allora, chi scenderà in campo sarà il frutto di questa ECCELLENZA che adesso proprio non esiste.

  • Bruno Says:

    Era scritto purtroppo. Ma i mali di questa nazionale (e del movimento in generale) vengono da lontano. Un decennio e più nel quale un mare di entusiasmo, tempo e (tanti) soldi sono stati letteralmente gettati al vento. Non si sono volute costruire le fondamenta e ci si è preoccupati di tirare a campare raschiando il barile fino in fondo, gettando fumo negli occhi con una struttura (accademie, franchigie, etc) che si fonda sul nulla. Se tutti questi soldi e questo tempo fossero stati impegnati per aiutare i piccoli e grandi club a crescere facendo venire in Italia tecnici che supervisionassero i vivai ed i tecnici nostrani, invece di strapagare giocatori stranieri (spesso pipponi)e relativi procuratori, e potenziare il nostro campionato anche da un punto di vista mediatico, favorendo l’afflusso di imprenditori e sponsors, adesso il nostro rugby poggerebbe su basi ben più solide. Ma una dirigenza vecchia, avida e incapace si è preoccupata solo di riempirsi la bocca di paroloni e le tasche di soldoni.
    E si continua a spendere soldi adesso per pagare gli elefanti morenti che vengono a svernare nelle franchigie, che poi franchigie non sono, che hanno dato il colpo di grazia a tutto il movimento. Treviso e Viadana sono le stesse che andavano a fare le finali di campionato con 5 italiani su 30 in campo, e poi se ne parla come le punte di diamante del rugby italiano. Ma quando mai, sono la rovina, insieme ad una FIR che da tempo andava commissariata. E Dondi ha pure il coraggio di ripresentarsi per un altro mandato… ma siamo seri. A casa lui, e i vari checchinato, ascione e via dicendo. Ma tra poco ci penseranno i board del 6 nazioni e della celtic league a farci tornare nell’orticello di casa nostra.

  • Pino'Z Says:

    Vedo con piacere di non essere il solo a urlare contro vento. Magra soddisfazione la mia, vedendo negli anni un patrimonio buttato all’aria solop er raccogliere monete sempre e solo nelle solite tasche. Mi auguro di recuperare tutti qui Under20 che qualcuno ha voluto disintegrarel’anno passato per, guarda un pò, “costi alti di gestione” che peccato, spero veramnete in un cambiamento ma…

  • Bruno Says:

    Mallett conosceva i suoi polli e ha puntato tutto sulle “sconfitte onorevoli” con qualche acuto occasionale nelle giornate particolarmente favorevoli (vedi italia-francia) sapendo bene che era il massimo che si potesse ottenere con il materiale a disposizione. Oltretutto la sconfitta onorevole lascia spazio alle supposizioni che con poco si può fare il miracolo. E alla FIR questo ha fatto comodo non poco, aldilà delle dichiarazioni di facciata.
    Brunel è venuto per giocare a rugby. Ha tutta la mia simpatia e stima ma si accorgerà ben presto di essere il primo tecnico (dopo i Johnston, Kirwan, Berbizier e Mallett) ad aver preso in mano un’Italia che si è già sparata tutte le sue munizioni. Aspetto con curiosità il prossimo commento di Dondi che al solito scaricherà le sue responsabilità su altri.

  • Bruno Says:

    A contorno di quanto sopra, si legge in giro che gli Aironi stanno alla canna del gas, sportivamente e finanziariamente (gli stà bene).
    Ovviamente stanno bussando a soldi alla FIR. Come se non ne avessero già avuti pochi.
    E poi dicevano che la franchigia a Roma era una vergogna perché si usavano soldi pubblici…
    Ma la punizione divina stà arrivando. Si scatenerà presto su Viadana. Su Treviso poi, e su qualche salottino della FIR per il giudizio universale.

  • Pino'Z Says:

    Peccato che la punizione divina per forza di cosa la subiremo tutti, come al solito in questi casi…

  • GABRIELE Says:

    Qui c’è qualcuno che continua a credere (e auguriamo che non lo “speri”) che verremo cacciati dal 6N. Beh credo che si possa impiegare in modo migliore il proprio pensiero, dato che l’italia nel 6N fa comodo a tutte le altre federazioni per motivi sia economici e d altro. Li siamo e li resteremo con mia grande soddisfazione, 1° perchè il torneo è il più bello che ci possa essere sulla piazza rugbystica mondiale, per storia e tanto altro, 2° personalmente non ho mai messo in croce nessuno ne tra giocatori ne tra i tecnici che si sono succeduti, perchè il confronto con le altre federazioni, soprattutto per KNOW HOW tecnico rimane ancora al di sotto e i meccanismi di formazione e selezione di giocatori è appena partito e sto parlando della filiera accademie-eccellenza- celtic league. 3° alla faccia di quanti stanno sparando addosso al movimento vorrei ricordare che gli appassionati aumentano, si ricomincia a parlare di rugby nelle scuole, negli oratori e sopratutto si arriva a riempire stadi da 70000 posti. Lorsignori questo per Voi non significa niente, per me vuol dire che il movimento è in ascesa al di là dei risultati e questo è il fattore straordinario di tutto ciò, i risultati arriveranno ma ci vuole ancora pazienza che personalmente ho senza tanti patemi.

  • Bruno Says:

    Ma tanto… peggio di così. La nazionale ormai è destinata nel giro di un paio d’anni a fare il botto definitivo. A breve giocatori come Castro e Parisse decideranno di allungarsi la carriera (giustamente) e si concentreranno sui club lasciando la maglia azzurra. Le franchigie padane per quanto mi riguarda possono anche sprofondare. La mia Rugby Roma è già stata fatta fuori. Il campionato italiano è diventato una barzelletta ed il rugby nel centro-sud sta scomparendo. Tanto vale allora sperare nel tracollo che mandi a casa definitivamente certi loschi figuri. Il rugby italiano risorgerà dalle proprie ceneri basandosi sulle realtà locali (e non sulla fir) come fatto in passato.

  • Alessandro Says:

    Carissimi, a questo punto ho il piacere di intervenire in questa interessante discussione.
    Personalmente, forse perchè sono un ottimista di natura, mi sento al centro delle due posizioni, forse un centimetro più vicino a Gabirele che a Bruno e Pino. C’è del vero nelle critiche mosse da questi ultimi, ma io sono convinto che la crescita degli ultimi anni sia innegabile e oggettiva. Certo, come per ogni attività umana si poteva fare meglio e, per brevità, vi risparmio il lungo elenco degli aspetti secondo me migliorabili e delle responsabilità. D’altro canto resto consapevole delle difficoltà che comporta una crisi di crescita così potente come quella del nostro movimento e continuo ad avere la stessa pazienza di Gabriele nell’aspettare il definitivo salto di qualità, e continuo anche a rodermi il fegato a Dublino, o sugli spalti dell’Olimpico… Ma poi mi guardo intorno e vedo la folla dell’Olimpico (il nostro rugby all’Olimpico, lo ripeto più volte perchè ancora non ci credo…) e le migliaia di itlaiani all’Aviva Stadium e ringrazio il cielo per esserci.
    Grazie a tutti per i vostri interventi e a presto!

  • Bruno Says:

    Caro Alessandro e cari tutti,

    non per mettere il cappello finale alla discussione, ci mancherebbe, quanto per dare un senso più generale alla mia visione della brutta piega che ha preso il rugby italiano, perché dietro i commenti più o meno catastrofici, che fanno anche parte di una dialettica spicciola tipica di questi blog, c’è una presa d’atto di un fatto credo oggettivamente sotto gli occhi di tutti. Aggiungo che chi scrive è sulla soglia dei 50 e ha vissuto il rugby (da modesto giocatore e da grande appassionato) dai primi anni 70, e quindi una certa ideaccia di come funziona il nostro mondo ovale me la sono fatta.
    Sul fatto che ci sia una lista di cose negative e positive da mettere in bilancio siamo d’accordo, e non ci entriamo per brevità. Ma la questione principale riguarda non tanto quanto siamo cresciuti (ma lo siamo ?) in questi anni, piuttosto quanto lo siamo rispetto agli altri. La storia del rugby italiano, come quella di tutti i paesi non anglosassoni, è caratterizzata dalla rincorsa ai migliori, con l’obbiettivo finale di chiudere il gap che ci separa dai maestri britannici in senso ampio (colonie incluse per capirci). Paesi come Francia e Argentina, pur nelle loro differenti impostazioni, l’hanno più o meno ottenuto. Altri, come Russia e Romania, di fatto i primi veri professionisti viste le loro organizzazioni sportive legate al mondo militare e della polizia, sarebbero state sul punto di fare un salto ulteriore di qualità naufragato poi nel crollo (meno mal, aggiungo) del blocco comunista. L’Italia si è trovata nella condizione ideale, a cavallo degli anni 80 e 90, di sfruttare una solidità economica ed una tradizione rugbistica consolidata (seppur a macchia di leopardo) che ci ha portato alle soglie del paradiso ad inizio anni 2000. E’ stato il compimento dello sforzo, della passione e del sudore di generazioni di rugbisti dagl anni 30 in poi. Fino a quel momento quindi, eravamo noi ad andare a velocità superiore rispetto agli altri. Una velocità che ci ha permesso di raggiungere almeno la coda del treno rugbistico anglosassone. Il problema a quel punto era non solo mantenere la stessa velocità, ma addirittura provare a risalire qualche posizione. Nel 2000 gli ingredienti c’erano tutti. Un paese economicamente solido, una tradizione ed un know-how accettabile, un grande entusiasmo e tanti soldi portati in dote dai nuovi palcoscenici. Ma poi ? Siamo stati capaci di correre come gli altri ? Io non credo. Le Unions più importanti si sono dotate di strutture molto più efficienti della nostra, e pur spingendo sull’accelleratore del professionismo (con l’esplosione delle grandi competizioni per club) si sono ben guardati dal non curare persino con più attenzione la loro base e i loro vivai. Noi questo non l’abbiamo fatto. Ci siamo cullati sugli allori e abbiamo concentrato i nostri sforzi soltanto sul (cosidetto) alto livello, in realtà sfruttando all’osso una generazione di giocatori e prendendo a mani basse nel variegato mondo di oriundi ed equiparati. La nazionale è stata data in pasto ai media ed al pubblico, specialmente quello nuovo, come il giocattolone all’ombra del quale si sono addensati interessi e personaggi che non hanno portato nessuna crescita, ma che hanno anzi drenato risorse importanti che andavano destinate a far crescere dalla base il movimento intero, che è stato colpevolmente lasciato allo stato primitivo (e chi frequenta i club, specia quelli piccoli lo sà) con mentalità e metodi che sono quelli di 30 anni fà.
    Portare all’olimpico 70.000 persone è positivo, ma in sè non aggiunge nulla se il livello dei nostri tecnici di base, dei nostri arbitri, della nostra stampa (quanta ignoranza in questo senso) sono quelli che sono.
    Faccio il paragone con il mondo della pallavolo che da parente povero a fine anni 70, si è trasformato in uno sport di successo in europa e nel mondo. Una capace operazione di marketing, che ha portato ricchi imprenditori e sponsors, ed una efficace azione della federazione ha permesso tutto ciò. Noi no. Noi possiamo vantare qualche leggero aumento di tesserati (ma anche qui ci sarebbe da discutere) ma il nostro rugby di base è sempre più lontano da quello degli altri paesi, proprio lì dove invece sarebbero serviti i progressi (e gli investimenti) maggiori. Questa dirigenza federale è stata letteralmente incapace di muoversi in maniera moderna, rapida, efficace. La pseudo struttura che ci siamo dati (accademie, franchigie, etc) ci costa molto e non è sostenuta da una base qualitativamente all’altezza. E’ come dotarsi di una bella università e poi fregarsene delle scuole elementari e medie e lasciarle in mano a metodi ed insegnanti dell’800.
    Ecco in sintesi il punto. C’è che sostiene che siamo cresciuti e chi sostiene il contrario (come il sottoscritto) ma di sicuro il gap con gli altri paesi si è riallargato in maniera drammatica. Temo che, finita questa generazione, la nazionale nel giro di pochi, pochissimi anni, sarà nell’impossibilità, per mancanza di ricambi, di sostenere e trainare il movimento come fatto finora. Ma a quel punto il crollo sarà verticale perché rischieremo davvero di essere fatti fuori (in Challenge cup già si vedono i primi segni di certa insofferenza nei nostri confronti) e purtroppo per ricostruire una nazionale decente (pompata oltremisura in questi anni) avremo molte più difficoltà che negli anni 80 e 90.

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