RBS Six Nations 2012, “Sono Botes, dove vado?”

Tobia Botes Centro di Preparazione Olimpica dell’Acquacetosa dove l’Italrugby si prepara all’RBS Six Nations 2012, oggi intorno alle 13.40. Un ragazzo con il cappuccio della felpa grigia in testa e un borsone a tracolla entra dal cancello incrociando il collega Francesco Volpe del Corriere dello Sport che esce dopo l’incontro della stampa con alcuni giocatori. “Ma tu sei Botes?”, chiede il collega.

Il sudafricano equiparato risponde:”Sì, piacere. Sai mica dove trovo la Nazionale?”.

“Sempre dritto a destra dopo il ristorante”.

Giunto a destinazione Botes incontra Brunel, ct azzurro:”Buongiorno, non credo che ci siamo mai incontrati. Io sono l’allenatore”.

Questo l’arrivo nel ritiro dell’Italrugby di Tobias Botes, 28enne mediano di mischia e d’apertura del Benetton Treviso, convocato dopo l’infortunio di Orquera.

Il giocatore, buono anche dalla piazzola, risolve diversi problemi tecnici per la sua duttilità e, anche dal punto di vista politico, definisce un periodo di nuova apertura (auspicabile) nei rapporti FIR-Benetton Treviso cominciato dopo l’incontro Dondi-Zatta.

Due piccioni con una fava.


6 Responses to “RBS Six Nations 2012, “Sono Botes, dove vado?””

  • tommaso Says:

    Eccone un altro…

  • Bruno Says:

    ma non eravamo andati in celtic league per far giocare le aperture italiane ?

    (dall’album della “Dondi band”)
    “parole, parole parole… parole, parole, parole…”

  • Alessandro Says:

    Cari amici, bentornati!
    In merito alla convocazione di Botes, mi piace approfondire con voi.
    Premesso che, personalmente, sogno una Nazionale Italiana che un giorno possa vincere il Sei Nazioni essendo composta da giocatori nati a Montebelluna, Benevento, L’Aquila, Catania, Roma, Frascati e così via, va anche detto che bisogna operare in un contesto che segue altre logiche. Per esempio, volendosi confrontare sul campo con movimenti come quello inglese notiamo che a fronte di circa un milione (!) di tesserati, la federazione inglese non ha alcuna remora a convocare in nazionale giocatori nati in Sudafrica, Nuova Zelanda, Tonga, Samoa, etc. Dunque, non trovo scandaloso che la “piccola” Italia di oggi convochi qualche equiparato o naturalizzato ove necessario. Nel ruolo di apertura è chiaro che, almeno per qualche tempo ancora, vivremo di questo, finchè non sapremo produrre – e poi crescere, sviluppare e proteggere…- un talento davvero italiano come è capitato, per esempio, nel ruolo di mediano di mischia dove ora si alternano Semenzato e Gori. Botes è un jolly utilissimo (peraltro a me personalmente tecnicamente non fa impazzire) che ci aiuterà nel Torneo.
    Grazie a tutti e forza Azzurri!

  • salvatore Says:

    Salve ragazzi,
    io penso che il problema non è se uno nasce in Italia o meno (abbiamo sopravvissuto grazie a Dominquez, Del Fava e tanti altri).
    La cosa che mi lascia con l’amaro in bocca è questa:Botes serve davvero alla Nazionale? (oggi scopro che è anche mediano d’apertura, farà fare il salto di qualità? ci guadagnerà il movimento?
    o è nell’ottica dei “rapporti” FIR-Treviso?
    Non vorrei che fosse una scelta forzata, così diventando italiano, libera a Treviso la possibilità di prendere un altro straniero, ed essendo di interesse nazionale lo paghiamo con i soldi (famoso 60%) della Federazione.
    Aggiungo una cosa: spiegatelo a Prato, che come tutte le squadre che non svolgono attività giovanile vengono penalizzate, che deve spendere soldi e tempo per fare crescere il movimento, quando se prendi esempio da Treviso (vedi anche caso Van Zyl) ingaggi un giovane straniero già formato e sarai pure bravo che hai dato un giocatore alla Nazionale.
    Per carità, posso sbagliarmi, anzi sinceramente, per il bene del nostro sport spero di non avere afferrato la situazione
    grazie

  • Bruno Says:

    Caro Alessandro, bentrovato (ma in realtà seguo sempre questo blog),

    in linea di principio quello che dici è giusto. Rimane però la questione di fondo (irrisolta, anzi peggiorata) che vede uno scollamento sempre più ampio tra il rugby di base e il (cosidetto) alto livello. Davvero questa dirigenza sembra non capire che nessuna partecipazione in celtic league, nessuna accademia, nessun pienone con gli all-blacks porteranno frutti a lungo termine se non il seminare (e bene) a livello locale. Ma è ovvio che è molto più eclatante (e remunerativo) per una dirigenza preoccuparsi dell’immediato e continuare a curare il salotto buono piuttosto che fare un lavoro oscuro ma decisamente più utile. Vedo in questo delle analogie con una classe politica che per decenni ha accumulato debito pubblico pur di non scontentare nessuno. Ma poi i nodi vengono al pettine ed il prezzo da pagare è decisamente salato. Ma è proprio ciò che il rugby italiano ha fatto in questi anni. La cicala Dondi (e non solo lui ad onor del vero) si è soltanto preoccupato di raccogliere i frutti di quella generazione che ci ha portato alle soglie del sei nazioni. Ma poi ? Come abbiamo usato questo decennio (abbondante) ? Oggi in Italia il livello di base è minore di allora. Il volano sei-nazioni non è stato usato per far crescere il movimento (in quantità e qualità) e l’interesse intorno al rugby, aldilà della “moda” di andarsi a vedere gli all-blacks in versione circo, non si è radicato fuori dalle aree storiche. Anzi, in molti casi (specie al centro-sud) si assiste ad una progressiva desertificazione. Nessuno si è preoccupato dell’enorme quantità di soldi generata dall’evento sei-nazioni per investire nei tecnici di base o nell’aiutare i clubs a crescere. Ci si è dotati di una pseudo organizzazione dell’alto livello (più di facciata che sostanziale) che regge soltanto a Treviso dove da sempre si sono fatti (bene) gli affari loro, ma quanto messo sù dalla federazione è soltanto un simulacro di quanto accade in realtà rugbistiche ben più evolute. E comunque persino in Nuova Zelanda sanno che la linfa vitale sono i club locali e provinciali e mai si guarderebbero di mandare in rovina il campo di semina. Ma qui ci si è soltanto preoccupati di raccogliere frutti peraltro seminati da altri. Botes, per rimanere al motivo che ha generato questa discussione, è soltanto l’ultimo esempio di come si sia seguita la politica di raschiare il barile. Cosa che poteva anche funzionare finché gli oriundi e gli equiparati erano di ben altro spessore. Ma i Parisse e i Castro sono una manna che non pioverà più su di noi. E poi, aldilà dell’auto celebrazione, dov’è il tanto blaterato salto di qualità del rugby italiano ? Dodici anni fà vincevamo una partita l’anno nel sei-nazioni, non si riusciva ad entrare nei quarti al mondiale, treviso coglieva qualche scalpo isolato nelle coppe, gli altri club venivano regolarmente bastonati così come le nazionali giovanili. Tutto come adesso, con la differenza che si è perso tanto tempo e tanti soldi. E tanto entusiasmo aggiungo io. Personalmente (e non mi sembra di essere il solo) non riesco più a sentire molto trasporto per questa nazionale targata fir-treviso-aironi. Ho visto con piacere che i ragazzini della rugby roma hanno ripopolato il tre fontane. Quello mi rende molto ma molto più felice.

  • Pino Says:

    Condivido e sottoscrivo le considerazioni di Bruno ed anche di Salvatore. La FIR tira a campa’, solamente “si dispiace” dei Club storici che spariscono, senza provare ad aiutarli visto che le condizioni economiche lo richederebbero. No, occhi puntati solo sugli Aironi che perdono quasi tutte le partite ed al Treviso che troppo spesso vince per disattenzione degli avversari. Tutti i dirigenti FIR, nessuno escluso, anche quelli che in separata sede parlano male di Dondi e poi approvano in consiglio FIR ogni sua idea, tirano a campa’ ed alla gestione del “potere” e della “poltrona”, evidentemente per loro occasione speciale e forse unica per trovare un posto nella vita. Parole troppo forti ? Be’ e’ un dato di fatto…a quando un Prof. Monti nel Rugby Italiano ?

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