Magners Celtic League, si allontana l’ingresso dell’Italia

David Lyons, n.8 degli Scarlets Come da noi anticipato nel post precedente relativo alla Magners Celtic League, sembra allontanarsi l’ingresso delle rappresentanti italiane nella Lega Celtica. Questo emerge dalle dichiarazioni del presidente degli Ospreys gallesi che hanno battuto nettamente il Viadana, capo-fila della franchigia Aironi, riportate da Il Corriere dello Sport:”I patti erano chiari.

L’Italia doveva portare uno sponsor e un contratto televisivo.

Allo stato non vediamo nè l’uno nè l’altro e dunque non credo che ci siano i presupposti per l’ammissione di due franchigie italiane”.

Così Andrew Hore e, senza dubbio, il dirigente gallese non poteva essere più chiaro.

Chi ha condotto il processo di ingresso delle due franchigie italiane (il presidente Dondi, per essere chiari) sta, dunque, disattendendo i patti.

 Quanto affermato da Hore è tanto più grave se si considera che gallesi e irlandesi sono le due componenti della Celtic da sempre schierate a favore del nostro ingresso, a differenza degli scozzesi da sempre all’opposizione.

 Inoltre, tutto ciò si scontra con la totale mancanza di chiarezza sulla gestione dell’intera questione.

 Due esempi: a) non è stato mai chiarito il criterio di scelta che dovrebbe ispirare la distribuzione tra le due franchigie dei giocatori di interesse nazionale; b) non si è mai risposto alle domande di alcune candidate (Praetoriani) circa la gestione del contratto televisivo che, infatti, è al centro dei dubbi gallesi.

Non si deve poi dimenticare che, pur in una confusione sconcertante, è stata annunciata una riforma dei campionati che ha portato realtà in crisi come Calvisano e Capitolina a ritirare le squadre seniores dal Super10.

Se aggiungete il flop della candidatura ad ospitare la World Cup avrete un quadro il cui orizzonte non può che essere pieno di tenebre.


17 Responses to “Magners Celtic League, si allontana l’ingresso dell’Italia”

  • Dao Says:

    A questo punto spero in un miracolo, oppure in dirigenti finalmente capaci di risolvere la questione.
    Forse ci sono piu’ probabilità per il miracolo…

  • Alessio Says:

    Purtroppo emerge quello che siamo rispetto al resto dell’Europa rugbistica che conta: ovvero dei dilettanti che non sono riusciti a passare ad un professionismo, come richiestoci. Siamo una via di mezzo, un ibrido che può solo partorire una creatura scialba chiamata “Super 10″, con stranieri di seconda fascia e copertura mediarica pari a qualsiasi altro sport di seconda fascia. Il discorso è complesso nel suo insieme, perchè ad essere franchi e sinceri fino in fondo c’è anche da tirare in ballo i soliti discorsi culturali e del calcio che occupa tutti gli spazi ecc., ecc.; ma ho l’impressione che questi argomenti saranno il facile scudo/scusante per giustificare l’incapacità nell’avere gestito male la cosa e mantenere la poltrona ben salda sotto il sedere. Non credo ad epurazioni e mani sulla coscienza: di questi tempi è molto più facile dare le colpe ad altri piuttosto che riconoscere i propri demeriti. Per cui prepariamoci ad una figura misera per quello che riguarda le rimanenti partire di coppa delle compagini itaiche, ad una nazionale sterile “bella e perdente” che arriverà al termine del ciclo Mallet (un’allenatore che considera il rugby di questa parte d’emisfero come inferiore…)con risultati mediocri (spero che qualcuno abbia il coraggio di ammettere che battere Samoa era un’impresa che poteva riuscire anche alla Georgia vista contro l’Italia A qualche settimana fa e che il loro posto, adesso, nel rancking, se questo è il loro gioco, è discutibile…) e con il “cucchiaio di legno” 2010 ben saldo tra le mani. Purtroppo non abbiamo ciò che merita il pubblico di San Siro del 14 novembre , perchè i vertici sportivi, purtroppo, non vengono eletti da noi appassionati. E la cosa, per chi ama questo sport, fa male!

  • Simone Says:

    Analisi lucida è condivisibile Alessio. Sono d’accordo per quanto riguarda la realtà di club e sulla gestione federale. Sulla nazionale sarei cautamente meno negativo.

  • Alessio Says:

    Il dubbio che ho è questo: avremo in futuro giocatori per avere una nazionale a questo livello? Dovremo ancora e per quanto ricorrere agli oriundi?

  • M-URC Says:

    @Alessio: mi è piaciuta molto la tua disamina della situazione. Ho un paio di considerazioni. La prima è che il rugby è uno sport di seconda fascia, anche perche la prima fascia è ricoperta dal solo calcio, ma ha la visibilità di qualsiasi altro sport di 3° o 4° fascia. La seconda è che oggi come oggi un Castrogiovanni non verrebbe mai a giocare con la nostra nazionale ma rimarrebbe nella sua amata Argentina per effetto dell’ingresso della stessa nel 3 nations.

  • Alessio Says:

    Vedi, il discorso è che, in linea generale, è sbagliato trattare gli sport come facciamo in Italia: in Inghilterra, per esempio (esperienza personale tangibile), c’è spazio per calcio, rugby, cricket in egual misura o quasi. E molto anche per altre discipline (anche per lo snooker, ebbene si!). Questo per quello che riguarda il discorso televisivo, quindi stiamo parlando di visibilità e conseguentemente anche business e tutto quello che ruota intorno. In Francia, i notiziari sportivi danno spazio a tutti gli sport e molto brevemente. In Italia anche sport blasonati, come basket e pallavolo, fanno fatica ad esistere. Quante squadre di basket ogni anno fanno fatica ad arrivare con i conti apposto ogni fine stagione? Almeno una squadra di serie A ogni stagione, negli ultimi anni, sparisce per guai economici o ad essi collegati (solo nell’ultimo Rieti, addirittura è stata letteralmente spazzata via). Noi ora parliamo di rugby: ma sarebbe ora, veramente e seriamente, di fare un discorso serie a livello di CONI. Perchè non si può aspettare il Parisse, Howe, Pellegrini o il campione di turno per far scoprire la bellezza e l’mportanza anche degli altri sport. Capisco che far cambiare radicalmente le cose e le teste sia difficile: è un’avventura degna, azzardo io, del miglior Don Chisciotte di turno. Ma se facciamo di tutto per tirarci la zappa sui piedi e degnamente rappresentare i luoghi comuni e le dicerie peggiori che ci contraddistinguono ovunque andiamo e ci presentiamo, direi che proprio non meritiamo la Celtic League. Ed è una occasione persa se pensiamo che, ora come non mai, il movimento si sta ingrandendo e i partecipanti e appassionati ad aumentare.

  • M-URC Says:

    Alessio complimenti per la prosa e soprattutto per i contenuti. Sul discorso Coni sono pienamente d’accordo anche se per come siamo strutturati mentalmente in questo momento la vedo un po dura che cambi qualcosa. In Italia vinciamo un campionato del mondo di calcio mediamente ogni 25 anni. E in ogni quarto di secolo si svolgono almeno 6 olimpiadi “estive” e 6 olimpiadi “invernali”. Senza considerare i mondiali di nuoto che si disputano ogni 2 anni e senza considerare i mondiali di atletica. Tutto questo per rimanere negli eventi mondiali. Ora, fatta questa considerazione, penso che ci siamo dati la risposta. Il calcio è troppo ingombrante.
    Inoltre il movimento femminile ci dimostra che l’Italia è una nazione che produce atleti di statura mondiale. Fortunatamente il calcio femminile non ha il seguito del calcio maschile ma è considerato alla stregua degli altri sport.
    Quindi meno calcio e più fosforo. Per tutti.

  • Bruno Says:

    Fa tristezza pensare che, in questi dieci anni di partecipazione al 6N, un patrimonio di immagine, tempo e soldi (tanti) siano stati così mal utilizzati.
    Il Rugby in Italia non ha quel background culturale tipico del Regno Unito ma ha pur sempre un buon radicamento nel territorio (seppur a macchia di leopardo) ed una tradizione tali da poter supportare un livello professionistico degno di tale nome. Purtroppo la conduzione della federazione in questo decennio è stata improntata alla ricerca dell’immagine più che a curare la sostanza. Non si è programmato nulla di serio e si è preferito cercare delle trovate ad effetto, ultima delle quali la Celtic League. Mi chiedo però come si possa dare seguito ad una partecipazione del genere quando il ricambio in termini di giocatori non è garantito. Anzi. In realtà ci si dovrebbe preoccupare di alimentare l’intera filiera (vivai, tecnici, arbitri, etc) che sta a monte del prodotto finale (nazionale o franchigie). Non ha senso confrontarci per forza con realtà così diverse dalla nostra senza avere i requisiti base. Finché i nostri under 14,16,18,20 non saranno in grado di competere con i loro pari età francesi o britannici non servirà a nulla pompare un livello professionistico esasperato che non ha ricambi. Le nostre migliori squadre (Nazionale, Treviso, Viadana) vanno avanti piene di oriundi ma ormai stiamo raschiando il fondo del barile. Di giocatori di formazione italiana di vero livello internazionale in questi ultimi non se ne sono quasi visti (Zanni e poco altro) e una volta esaurita la generazione dei Bortolami, Mauro Bergamasco etc (tutti intorno o oltre i 30 anni) ci troveremo con seri problemi anche nel 6N.
    Nel frattempo si è anche pensato a far morire o quasi il nostro campionato che deve invece essere il nostro punto di riferimento sul territorio, tanto in termini di pubblico (e relativi sponsors) quanto di avvicinamento al rugby per i ragazzini. Abbiamo buttato via soldi per giocatori stranieri mediocri quando sarebbe stato meglio investire in giovani tecnici, magari cercando un’alleanza strategica con la federazione francese a noi più vicina anche culturalmente. E invece no. Si è pensato che il giocattolo mediatico 6N + qualche evento ad effetto (tipo partita con gli All-blacks o appunto la Celtic League) potesse trascinare dall’alto tutto il movimento rugbystico in Italia. In federazione ci si è preoccupati di costruire un bell’attico sopra una traballante palafitta. Il crollo è purtroppo inevitabile.

  • rino Says:

    scusate se mi intrometto, premetto che so poco di rugby, anni fa ho iniziato a praticarlo ma dovetti smettere subito e ora mi sto riavvicinando a questo fantastico sport come genitore.
    vorrei chiedervi ma a che serve andare a fare la celtic league? in fondo sono solo 2 squadre che fanno l’esperienza non tutto il movimento….
    ma è vero che un pò di anni fà le squadre italiane erano molto più competitive?
    cosa è successo??
    grazie per l’attenzione

  • M-URC Says:

    L’attuale campionato italiano, Super10, non è fondamentalmente un campionato competitivo, rispetto agli altri importanti campionati europei: inglese, francese e celtico. Probabilmente il gap tra le squadre italiane e le altre, negli anni, invece di diminuire è aumentato. Anche perche siamo entrati nell’era professionistica, è stato istituito il campionato celtico che comprende franchigie irlandesi, scozzesi e gallesi. Questi eventi importanti hanno fatto crescere con più velocità il rugby delle altre 5 nazioni che si fronteggiano con l’Italia nel 6 nazioni. E l’Italia con il suo Super10 non è riuscito a crescere a sufficienza per stare al passo con le altre. Tant’è che molti dei giocatori che militano nella nazionale, giocano in campionati esteri.
    Essere presenti con 2 squadre nel campionato celtico, consentirebbe ai nostri giocatori di interesse per la nazionale, di abituarsi a certi ritmi di gioco e a confrontarsi settimanalmente con le migliori squadre.

  • Alex Says:

    Salve, e’ molto che leggo i suoi articoli e li apprezzo per la franchezza di opinioni e per la chiara competenza su tutte le questioni del rugby in generale.
    Son in parte d’accordo sul fatto che, notizie alla mano, la federazione non abbia certamente brillato come trasparenza nelle scelata dele3l franchigie e sia stata colpevolmente mancante per quanto riguarda le questioni commerciali (TV su tutto) e tecniche (quali giocatori e con che criterio? A chi la scelta?)
    Mi riservo pero’ anche di far notare che in questa questione della Celtic League, tutti i suoi commenti sono anche se moderatamente di parte: non condivido il principio per cui sarebbe giusto dare spazio ad una compagine romana per motici commerciali, politici e di realta’ sportiva.
    Sicuramente il rugby a Roma ha una sua chiara tradizione ma e’ anche vero che il movimento rugbistico italiano deve la gran parte dei suoi successi e visibilita’ soprattutto alle compagini del nord con buona pace per chi, romano e romanocentrico, pensa che la capitale debba sempre avere una “preferenza” in piu’ in quanto tale…
    Sono sicuro che non sara d’accordo con il mio punto di vista ma da appasionato di rugby credo che ad esempio ci sarebbero state sedi migliori per il SeiNazioni rispeto al Flaminio (ho fatto ricerche e non sembra affatto che il Board del sei Nazioni abbia posto la condizione che si giocasse a Roma) e che oogni volta che la Nazionale ho giocato in grandi stadi del Nord (vedi l’ultimo esempio) ha fatto il pieno.
    Io crdo che il progetto Celtic league, se fallira’, lo dovra’ ad altri aspetti che lei ha sottolineato ma non al fatto che Roma e la sua compagine non sono state della partita.

  • Simone Says:

    Vorrei aggiungere un dato di fatto alla questione. Ritengo che il discorso del calcio, pur essendo verissimo sia comunque un alibi. Calcolate che l’Italia è un fenomeno sportivo assolutamente unico al mondo, in rapporto alle dimensioni e alla popolazione. Siamo stati campioni olimpici e mondiali in quasi tutti gli sport di squadra e arriviamo fissi tra le prime 5-8 nel medagliere olimpico.
    Di certo non abbiamo la cultura sportiva anglosassone come qualcuno sopra giustamente notava, ma questo invidiabile sistema inglese non è che porti a risultati globali tanto meglio dei nostri (basket? pallavolo? pallanuoto?), pur potendo contare su una lunga storia coloniale.
    In definitiva trovo ingeneroso ritenere i Parisse e le Pellegrini come fenomeni isolati.
    Le basi e le possibilità per crescere, incredibilmente e miracolosamente esistono, come dimostra comunque proprio il nostro rugby, che a dispetto di gestioni folli e italianate varie è innegabilmente almeno raddoppiato rispetto a 10 anni fa. Quindi giusto essere severi con se stessi Alessio, ma occhio a non perdere di vista le proprie qualità e soprattutto cautela nell’ispirarsi troppo facilmente ai modelli stranieri.

  • rino Says:

    tornando alla celtic league,se ho ben capito anche le squadre gallesi irlandesi e scozzesi sono franchigie…allora i rispettivi campionati nazionali sono rimasti a livello dilettantistico o la celtic è una specie di coppa a cui si qualificano le meglio piazzate dei campionati nazionali??
    scusate forse faccio troppe domande ma leggo tante polemiche tra stampa e siti web e mi piacerebbe capirne qualcosa.
    saluti.

  • Alessandro Says:

    @Alex: grazie per il suo intervento, per il tono e per la franchezza. Le rispondo su un paio di osservazioni. Io non credo di sostenere la presenza di una franchigia romana perchè romano o romanocentrico. Sono convinto, in base alla mia esperienza maturata nell’osservazione e nello studio di altre realtà sportive, che lo sviluppo dello sport professionistico non possa prescindere dalle grandi piazze perchè tutto si tiene su movimento turistico, sviluppo commerciale e potenzialità di bacino. Lo sosterrei anche se, come ho detto in altre occasioni, fossi nato e abitassi altrove e, per sgombrare il campo dall’equivoco, ripeto che secondo me le due possibili franchigie italiane dovevano essere a Milano e a Roma. Queste logiche non hanno a che vedere con quanto successo fino ad oggi nel campionato italiano che, infatti, non può essere paragonato alla Celtic League in alcun modo. le due franchigie scozzesi hanno stanza a Glascow e Edimburgo, si è chiesto perchè non le hanno piazzate ad Aberdeen o a Newport? Peraltro, ritengo in questa che ottica che il rugby non sia una opportunità per Roma, piuttosto sono convinto, al contrario, che Roma sia una enorme opportunità per il rugby. Quanto ai pienoni, se si riferisce ai meravigliosi 80.000 di S.Siro tra i quali mi onoro di essere stato, il “merito” maggiore va ascritto certamente al richiamo costituito dagli All Blacks che avrebbero fatto sold-out ovunque, solo che – a sostegno di quanto asserisco sopra – un conto è farli giocare a Bologna o a Genova e altro è farli giocare a Milano e a S.Siro. Inoltre in tutti i Test che si giocano al Nord incontro tantissimi appassionati che giungono dal Sud, a dimostrazione che il pubblico della Nazionale si sposta per seguire i suoi beniamini. Credo sia necessario non fare confusione tra questo fenomeno, straordinario, e quanto potrebbe succedere per una realtà di club che deve giocare 14 incontri interni (celtic e Heineken) con continuità lungo una intera stagione. Per un evento-spot a Reggio Emilia Viadana non è riuscita ad andare oltre un desolante effetto vuoto contro gli Ospreys giocando di sabato alle 14.30, figurarsi cosa sarebbe giocare con continuità al sabato sera di inverno con temperature proibitive, campi ghiacciati e magari un filo di nebbia. Non c’è in quanto dico alcuna venatura di distinzione geografica o di altro tipo, sono solo constatazioni necessarie che vengono in mente analizzando queste questioni. Del resto ho la convinzione, anche se per il bene del movimento spero che le mie informazioni siano sbagliate, che il Board della Celtic differirà il nostro ingresso a data da destinarsi. Se così fosse, temo che i problemi che abbiamo nella gestione del movimento avrebbero ulteriori occasioni per venire alla luce con grave danno, purtroppo, per tutti.
    Grazie ancora e a presto!

  • Alessio Says:

    @ Rino: i neofiti sono sempre i benvenuti, e le domande, se sinceramente ed intelligentemente formate, meritano una risposta completa: siccome impiegherei una vita a spiegarti tutto, ti rimando a dei link esterni che, spero, potranno dare una risposta il più esaustiva possibile alle tue domande: http://it.wikipedia.org/wiki/Federazione_rugby_XV_dell%27Irlanda; http://it.wikipedia.org/wiki/Federazione_rugby_XV_della_Scozia; http://it.wikipedia.org/wiki/Federazione_rugby_XV_del_Galles; http://it.wikipedia.org/wiki/Celtic_League.
    Sul fatto che fossimo più competitivi prima…mah! le “coppe”, ovvero European Challenge Cup e Heineken sono nate a metà degli anni ’90: e non ricordo grandi risultati da parte di squadre nostrane (anche di questo trovi menzione sempre su Wikipedia).

  • rino Says:

    Alessio ti ringrazio per la dritta ora ho le idee più chiare.
    comunque dall’idea che mi sono fatto noi italiani non potremmo arrivare a fare delle franchigie come fanno gli altri…troppe rivalità campanilistiche ci dividono, magari nel rugby non sono esasperate come nel calcio ma la mentalità italica è quella e non si cambia.
    grazie e saluti.

  • Sergio Says:

    Solo per la precisione, faccio presente che le voci http://it.wikipedia.org/wiki/Heineken_Cup e collegate, che sono state indicate come tra le migliori dell’enciclopedia, le ho scritte io…

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