Italia, adesso al lavoro

Giancarlo Dondi Sono molti i passi indietro compiuti dall’Italia rispetto al Sei Nazioni di un anno fa. Allora si era all’inizio della gestione Mallett e la squadra, pur vincendo solo con la Scozia, fornì prestazioni incoraggianti in tutte le partite. Ieri si è chiuso un Torneo che potrebbe passare agli archivi come uno dei peggiori, rendimento di Sergio Parisse a parte. Ventuno mete subite, solo due segnate, passivi pesanti e una deprimente sensazione di impotenza offensiva.

 Possono bastare le nuove regole, che certo penalizzano le poche armi a disposizione del rugby italiano, a spiegare la sterilità degli Azzurri?

La realtà è che, tra le migliori nazioni del mondo, l’Italia è l’unica a non avere un livello professionistico nel quale formare i giocatori.

Il Super10 è un ibrido che da troppi anni vive al di sopra delle proprie possibilità, con costi proibitivi e produttività pari a zero.

 Più di 150 stranieri, mediocri, per dieci squadre non lasciano spazio ai giovani italiani e bruciano inutilmente risorse preziose.

Mallett, il cui contratto è stato rinnovato fino al 2011 da Dondi, da un anno invoca l’ingresso di due realtà italiane nella Celtic League che ha dato il suo benestare, ma il modo in cui la Federazione ha condotto fino a qui il processo non fa pensare ad una reale urgenza.

Il tempo è finito.

I vertici della FIR devono riprogrammare il futuro del rugby italiano cominciando dalla gestione del processo di ingresso in Celtic League e dalla conseguente e  inevitabile riforma dei campionati.

 La candidatura ad ospitare la Rugby World Cup del 2015 è importante dal punto di vista economico e, quindi, politico.

Tornare a programmare il prossimo futuro del movimento e a gestirlo è, invece, vitale.

Ma c’è di più.

Vista la conferma di Mallett, è ovvio che bisognerà mettere mano allo staff come ha lasciato intendere lo stesso Dondi.

Del resto, la gestione dei casi Lo Cicero, Festuccia, Toniolatti, Marcato e Masi pesa come un macigno sul risultato finale del Torneo, al di là dei meriti tecnici dei singoli giocatori.

Ai tempi di Berbizier c’era un manager che affiancava il ct e vegliava sugli interessi federali quale, per esempio, quello di proteggere i giocatori italiani e i risultati si erano visti.

Un altro punto sul quale la FIR dovrà far sentire la propria voce è quello che riguarda il calendario internazionale che ci impone di giocare sempre contro le prime dieci del mondo.

Di quando in quando, anche l’Italia avrebbe bisogno di vincere qualche partita.

Ora la parola passa allo Chef Dondi, gli ingredienti non mancano, bisogna agire subito.


3 Responses to “Italia, adesso al lavoro”

  • Dario Says:

    Non nascondo di essere preoccupato e deluso. Sabato sono andato a Roma (da Torino) per vedere l’ultima partita del 6nazioni al Flaminio.
    Un disastro, sotto tutti i punti di vista.
    Delusione e sconforto erano i sentimenti piu’ vivi all’interno dello stadio. Il peggio è stato quando i francesi hanno intonato la marsiglese e si sentivano solo loro all’interno del Flaminio (eravamo troppo affranti per controbattere con fratelli d’Italia…). Il meglio c’e’ stato quando tutto il pubblico ha chiesto a gran voce di cacciare l’idiota che ha gettato una bottiglietta d’acqua in campo.
    Troppo poco per dire di aver passato una bella giornata di rugby.

    Ho apprezzato l’impegno dei singoli, ma come squadra siamo molto indietro rispetto alle top ten del ranking.

    Adesso il prossimo passo spetta alla federazione, o si cambia o si precipita. Spero riescano a mettersi d’accordo e fare chiarezza sulla Celtic League e sui programmi futuri (coppa del mondo compreso).

    E soprattutto spero mi facciano tornare la voglia di andare al Flaminio il prossimo anno. Davvero.
    Forza Azzurri!

  • Franco Says:

    Ciao
    concordo su tutto , il piu urgente e’creare un management che faccia crescere il rugby,va fatta piazza pulita a partire da Dondi.Purtroppo non e’ piu un fatto tecnico ma politico, e allora tutto il mondo e’ paese, ricadiamo nell immobilismo dirigenziale e compromessi clientelari che caratterizzano la politica italiana.
    Ci vogliono programmi e persone nuove in grado di portarli avanti, ma serve soprattutto una svolta che, conoscendo l immobilismo italiano,non si fara’.
    Per capire il livello di programmazione che serve per dare risultati, basta andare sul sito della federazione irlandese,con 3 click si scarica il pdf dove e’ articolato un piano quinquennale di crescita del rugby irish,con tanto di obiettivi e mezzi per arrivarci.
    In FIR chi e’ che si occupa di programmare qualcosa? di prendere decisioni? a chi riporta Mallett? Semplicemente…. NESSUNO
    C ‘e solo la casta di consiglieri politici che rieleggono puntualmente Dondi affinche egli garantisca i loro piccoli orticelli,non certo uomini che hanno a cuore lo sviluppo del rugby italiano.
    Se l Italia ha bisogno di evitare le prime dieci al mondo per vincere una partita, be’ siamo tornati ai tempi della Tunisia e Spagna ai giochi del mediterraneo….

  • Barumbabee Says:

    Credo sia innegabile la necessità di cambiamento, soprattutto a livello di preparazione dei giocatori. I nostri sono sembrati essere in continuo affanno, a rincorrere avversari mooolto più veloci ed in sintonia tra loro; mi sembra impossibile che non si riesca a far correre i nostri atleti,come gli irlandesi ad esempio, che rispetto allo scorso anno sono incredibilmente più veloci. Sarebbe troppo facile ed inutile “sparare” sui singoli, ma idealmente mi piacerebbe poter chiedere a Mallet cosa lo ha spinto a lasciare a casa un Toniolatti o a sperimentare in un incontro di Sei Nazioni Mauro Bergamasco al n°9 (errore comunque riconosciuto dallo stesso allenatore). Bisogna però investire su preparatori atletici validi e management organizzativo di qualità. Una domanda mi vene spontanea: ma i ritiri, come quello fatto dalla nazionale prima del mondiale 2007, non si fanno più? Non sarebbero utili alla coesione della squadra ed alla sperimentazione di tecniche di gioco nuove?

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