Marco Bortolami, professione capitano

A soli 26 anni Marco Bortolami ha già raggiunto molti obiettivi che la maggior parte dei suoi colleghi può solo sognare. Capitano dell’Italia dal 2002 a soli 22 anni (il più giovane della storia, n.d.r.), capitano del Petrarca Padova, dove è cresciuto rugbisticamente, capitano del Narbonne in Francia, capitano del Gloucester dopo appena un mese in Inghilterra.


Nato per essere leader:”Quando il coach del Gloucester Dean Ryan, dopo essersi consultato con gli anziani della mia nuova squadra, mi ha dato la notizia sono rimasto sorpreso – sorride Bortolami -.

Non è facile inserirsi in un ambiente così competitivo come quello del Gloucester, un club che punta a vincere tutte le competizioni cui partecipa, pieno di giocatori internazionali e di nazionali inglesi.

Sono particolarmente orgoglioso del fatto che sia stata subito riconosciuta la mia leadership nel gruppo da parte dell’allenatore, lo considero un premio all’impegno che metto nel mio lavoro.”

Molti si stanno appassionando alla palla ovale da poco sull’onda dei successi della nazionale, provi a spiegare loro il significato del ruolo di capitano nel rugby:”In effetti nella nostra disciplina il capitanato riveste un’importanza diversa rispetto ad altri sport.

Magari è più facile soffermarsi su ciò che si vede in campo, ma il capitano gioca un ruolo fondamentale anche nella preparazione dei match, negli allenamenti e nell’indirizzare il lavoro dell’intero gruppo verso l’obiettivo fissato dall’allenatore.”

Rilevante, per chi è nuovo del rugby, anche l’aspetto disciplinare. In campo nessun giocatore all’infuori del capitano può rivolgersi all’arbitro:”Certamente la comunicazione con il direttore di gara è molto importante.

A volte – confessa il leader azzurro – capita di incontrarne alcuni aperti al dialogo, altri invece sono più rigidi e ascoltano poco, magari per paura di lasciarsi influenzare.

L’abilità di un buon capitano si esprime anche in questo rapporto.”

Due anni a Narbonne, ora un contratto per i prossimi due a Gloucester. Cosa guadagna e cosa perde un giovane rugbista italiano giocando all’estero?:”Tutte le cose presentano diversi aspetti.

Nei due anni a Narbonne mi sono enormemente arricchito in termini di esperienza e posso dire oggi che avrei dovuto farlo prima.

Giocare in un campionato più competitivo ha aggiunto una dimensione professionale che mi ha migliorato in maniera determinante.

Ovviamente, non sempre è facile vivere lontano dalle proprie radici e dai propri affetti. Soprattutto in momenti difficili, si ha bisogno di punti di riferimento.”

Quanta differenza nel passaggio da Narbonne a Gloucester?:”Parecchia. Quello francese e quello inglese sono due campionati molto diversi, sebbene entrambi difficili.

Personalmente – spiega Bortolami – mi trovo più a mio agio nel sistema anglo-sassone dove nulla è lasciato al caso e c’è grande attenzione anche ai minimi particolari.

In Francia, ad esempio, vi è una grande differenza tra giocare in casa e giocare in trasferta, e questo per me che devo sempre dare il massimo per essere soddisfatto risultava frustrante. A Gloucester ho trovato tutto quello di cui ho bisogno per esprimermi al massimo.”

Molti giocatori del giro della nazionale giocano in Francia e in Inghilterra. È un vantaggio o può danneggiare l’omogeneità del gruppo?:”Per i giocatori confrontarsi con i migliori è uno stimolo alla crescita, poi in nazionale dobbiamo essere bravi a sintetizzare le diverse esperienze.”

Dopo la crescita nel gioco e nei consensi della scorsa stagione questo è l’anno del definitivo salto di qualità per il rugby azzurro:”Questo per noi deve essere l’anno delle vittorie. Abbiamo un gruppo che gioca insieme dalla World Cup 2003, abbiamo avuto bravi allenatori e siamo maturati pur avendo un’età media bassa, ora è il momento delle responsabilità individuali da parte dei giocatori.

Ciascuno deve essere in grado di fare qualcosa che nessun’altro può fare per te. Ormai siamo pronti a reggere la pressione del livello internazionale e abbiamo il dovere di provarci.”

Quanto incide il lavoro di Pierre Berbizier sui miglioramenti del gruppo?:”Moltissimo. In Pierre è fondamentale la praticità sul campo e la straordinaria capacità di dirti cose che poi puntualmente riscontri nel gioco. Questo conferisce grande carisma alla sua figura e lega il lavoro dello staff a quello della squadra.”

Si immagina il suo futuro da qui ai prossimi dieci anni?:”Per ora vivo fino in fondo questi due anni di contratto a Gloucester, poi, a 28 anni, valuterò con attenzione il mio futuro.

Una delle mie priorità è concludere gli studi di Ingegneria all’Università di Padova, ma non so quando e se potrò ritornare in Italia da giocatore.”

Cosa pensa della possibilità di istituire selezioni sul modello, per esempio, irlandese sotto l’egida della Federazione che possano consentire ai giocatori migliori di rimanere in patria e giocare ad un livello competitivo?:”Personalmente penso che sarebbe la soluzione migliore. Le selezioni potrebbero giocare fra loro o partecipare a tornei internazionali come accade già per i gallesi e gli irlandesi(per esempio il torneo Anglo-gallese, n.d.r.).

In questo momento viviamo in una fase di stallo che non fa bene a nessuno. Probabilmente bisognerebbe vincere le resistenze dei club, ma cambiamenti di questo tipo non sono mai indolori e richiedono una buona dose di coraggio da parte di chi guida il movimento.”

La partita di domani contro il Portogallo apre una stagione fondamentale. Cosa si aspetta il capitano dalla sua squadra?:”Mi aspetto di vedere espresse sul campo le grandi potenzialità di questo gruppo, grazie al grande lavoro fatto in allenamento. World Cup, Test internazionali, Sei Nazioni, davanti a noi ci sono molte occasioni per diventare un gruppo vincente.”


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