Gli impianti romani del rugby, il Tormento e l’Estasi

Il Colosseo Il Tormento e l’Estasi. il titolo del film su Michelangelo e sulla cappella Sistina e del romanzo che lo ispirò si presta egregiamente a descrivere la situazione attuale degli impianti romani dedicati al rugby, una disciplina che vive nella Città Eterna il disagio della cronica penuria di campi a fronte di un dilagante successo di base (i vivai delle società romane prosperano) e di vertice (il Sei Nazioni è una realtà ormai affermata). Cominciamo dalla notizia positiva (Estasi) che riguarda il Tre Fontane dell’EUR.

La storica sede della Rugby Roma riapre dopo un periodo di chiusura determinato da un contenzioso relativo alle utenze idriche.

L’accordo firmato dal Comune proprietario, da CONI Servizi concessionaria dell’impianto e dalla Rugby Roma pone fine alla querelle che ha visto la Roma e i ragazzi(oltre 400) del proprio vivaio ingiustamente privati della propria casa.

La perizia del Tribunale ha sancito l’esistenza di falle mai riparate che rendevano insostenibili i costi delle bollette il cui pagamento, secondo una procedura inspiegabile, Coni Servizi imponeva alla Rugby Roma anche per conto dei consumi di basket, hockey e pattinaggio pur non essendo titolare dell’utenza e senza aver avuto mai accesso al contratto relativo!

Ora il Comune, decisivo il ruolo di mediazione dell’Ufficio Sport del Delegato Cochi, procederà a stipulare concessioni separate con la Rugby Roma e con le federazioni di pattinaggio, basket e hockey interessate al centro sportivo.

E veniamo al Tormento, quello che riguarda il Flaminio, i lavori di ristrutturazione relativi, e alla locazione del Sei Nazioni nella Capitale che tanti mal di pancia provoca al di sopra del Po.

Il successo (di seguito, di pubblico ed economico) del Torneo non può essere messo in discussione, così come la sede a Roma (anche nelle altre nazioni si gioca nelle capitali).

Eppure, alcuni ritardi nelle procedure offrono il destro al presidente FIR Dondi di dare fiato al vento del nord e tornare a minacciare (per ora sottotraccia…) lo spostamento a Bologna e, in futuro, a Venezia.

Detto che mettere le mani su un monumento nazionale vincolato al parere delle Sovrintendenze come il Flaminio è operazione che richiede tempi tecnici ragionevoli e certamente più lunghi di quelli che servono – per esempio – a rendere edificabile un terreno agricolo nel parmigiano, sarebbe delittuoso da parte dell’Amministrazione di Roma – che pure molto ha già fatto – permettere al vento del nord di continuare a spirare.

Sarà meglio sbrigarsi.


6 Responses to “Gli impianti romani del rugby, il Tormento e l’Estasi”

  • M-URC Says:

    E’ vero, c’è da sbrigarsi. Perchè il pericolo è che questo sport sparisca completamente dal centro-sud. L’affare CL ne è una dimostrazione. Fare 2 franchigie a 200 km l’una dall’altra non è stata una mossa geniale ma solo politica che non centra nulla con il bene del rugby “italiano”. Se andiamo a vedere dove gioca i test match la nazionale italiana, ci accorgiamo che raramente si scende al centro e mai si scende al sud; in questo c’è una bellissima iniziativa di rugbyuniontimes.com (appoggiata anche da questo blog) che da novembre scorso ha fatto un appello per organizzare un test match al sud (speriamo si realizzi). Se andiamo a vedere dove hanno giocato le nazionali giovanili italiane i loro incontri quest’anno, troviamo tutte partite giocate al nord ad esclusione della partita di 6 nazioni U20 (grande affluenza di publico), che ci vedeva affrontare la Scozia, giocata in sardegna e al torneo disputato a Roma del 4 Nazioni U17 (ben organizzato e ben riuscito). Questo per dire che quando si è provato a giocare un po più giù del solito nord i risultati positivi ci sono stati. E quest’anno c’è stata la riprova anche con la finale scudetto che non ha visto questo bagno di folla come molti si auspicavano: 4000 spettatori (più o meno quelli presenti l’anno scorso alla stessa e ripeto stessa, finale al Flaminio).
    E le accademie? Una a Mogliano una a Parma e una a Roma. E al SUD. NIENTE. Cercassero di aprire un po più gli orizzonti invece di rimanere chiusi nelle loro quattro mura. Cercassero di dare più spazio al rugby giovanile. A tal proposito volevo chiudere con una domanda: i soldi della federazione predisposti per tutte le società di rugby che hanno il settore giovanile non raggiungono 1 milione di euro mentre i soldi della FIR che dovrebbero esere utilizzati per le franchigie della CL dovrebbero aggirarsi a circa 6 milioni (spero di non sbagliarmi). Beh, non trovate che ci sia un ingiustificato dislivello?
    Si, c’è da sbrigarsi.

  • Francesco Says:

    Splendida analisi.
    Temo che l’idea di qualcuno sia di “beneventizzare” tutto il centrosud, ossia creare una fucina per buoni talenti da formare e sgrezzare al Nordest.
    Ed in questo il circo del Flaminio (capisco i vincoli sulla struttura, ma quanto ci vuole a sistemare le tribune stampa ?) non aiuta affatto

  • Bruno Says:

    Il piano di “regionalizzazione” della FIR prende sempre più forma, con l’alto livello (si fà per dire…) lungo l’asse emiliano-lombardo-veneto e gli altri a fare da base o, nel peggiore dei casi, a scomparire del tutto.
    Ma quel che è più vergognoso e ipocrita è il fatto che ci vogliono far credere che è per il bene del rugby italiano. In realtà hanno solo pensato a concentrare il rugby professionistico (e relativi introiti) nelle mani di pochi. Che poi il tutto rischi di desertificare rugbisticamente l’italia ancor di più, è per loro un dettaglio trascurabile.
    Che tale piano sia portato avanti da soggetti privati è tutto sommato comprensibile, ma che dietro tutto ciò ci sia la mano della federazione, il cui scopo istituzionale è di promuovere la diffusione e lo sviluppo del rugby su TUTTO il territorio nazionale, è assolutamente inaccettabile.
    A maggior ragione quindi è importante, anzi vitale, che il rugby romano si organizzi al più presto e che diventi un punto di riferimento degli “esclusi”. Bisogna creare un polo rugbistico forte e credibile da contrapporre al nord se si vuole sperare di sopravvivere. Società, imprenditori e sponsors locali dovrebbero in tal senso coordinare gli sforzi ma… ne saranno capaci ?

    Viva i praetorians. Viva il rugby romano.

  • Controller Says:

    Condivido tutte le considerazioni fatte.
    Come ho scritto nel recente passato, credo che il problema di fondo e’ che la FIR non risponde di fatto a nessuno, del proprio operato. Il CONI in pratica se ne disinteressa, forse perche’ il Rugby non e’ disciplina olimpica ? Da qui poi discende un modo di operare di tipo feudale, di fatto incontrollabile dall’esterno.
    Spero proprio che i Dirigenti del Rugby Romano e del Centro Sud non si facciano intimidire, certo pero’ che alla lunga la passione non basta. Speriamo di continuare a vedere il 6Nazioni a Roma, culla della civilta’, Capitale del Mondo, citta’ con una storia e di una bellezza straordinarie, ammirata da tutti i popoli stranieri. Ineguagliabile.

  • Francesco Says:

    @controller
    Credo che il motivo principale per cui il CONI si disinteressa del rrugby non è nel fatto che non sia sport olimpico, qquanto nel fatto che da 10 anni a questa parte la FIR non bussa a denari, visto che li ramazza con l’IRB.
    E se non paghi, non controlli (perchè non ti ci fanno neanche mettere il naso)

  • Controller Says:

    Francesco,
    se e’ cosi’ questo rafforza ancora di piu’ il concetto di sistema FIR come siatema autoreferenziale, ovvero “chi controlla i controllori ?”
    Probabilmente questo e’ uno dei motivi della crescita lenta, a livello internazionale e parlando di qualita’, del Rugby Italico. I sistemi chiusi non migliorano con la stessa velocita’ e qualita’ dei sistemi che accettano lo scambio verso l’esterno. E’ come nei matrimoni tra consangunei perpetuati in passato nelle famiglie nobili, che venivano fatti con l’obiettivo di mantenere la specie, ottenendo pero’ il risultato opposto !

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