Gareth Edwards, il migliore

Comincia con la pubblicazione di questo post sulla storia di uno dei Campioni che rendono unico lo sport della palla ovale la collaborazione con Il Grande Rugby, rivista mensile diretta da Ferruccio Venturoli indispensabile per chi vuole conoscere la storia che assume i contorni della leggenda di una disciplina bella come la vita. Troverete le storie delle leggende del rugby nella sezione “Storie di rugby”, buona lettura.

2295405Cinquantarè caps consecutivi per il Galles, 10 per i Lions, sei Championships vinti in 12 anni.
Velocità, tecnica, passaggio, potenza e intelligenza tattica per quello che è considerato il più completo giocatore di sempre

di Eamus Costello


“In campo sembrava una bomba sul punto di esplodere” così Barry John , King John, grande amico e compagno di mediana nel Galles e nei Lions, racconta di Gareth Edwards.

Ed Edwards era tutto quello che doveva essere un giocatore di rugby: aveva fisico, una tecnica sopraffina migliorata con duri allenamenti, scatto, velocità, un calcio in corsa potente e preciso e un passaggio forse unico al mondo.

Ma aveva anche nelle gambe una potenza esplosiva, e nella testa un’intelligenza tattica non comune.

Gareth Edwards si può considerare non solo il miglior mediano di mischia e forse anche il miglior giocatore di tutti i tempi, ma sicuramente il più completo.

Qualcuno ne parla come un vero “fenomeno”: convocato per la prima volta in nazionale contro la Francia, nel 1967, a 19 anni, giocò da titolare i 53 incontri ufficiali successivi, senza mai neanche essere messo in panchina segnando, fino alla sua ultima partita, ancora contro la Francia nel ’78, 20 mete e 88 punti.

Giocò 10 test con i Lions nelle due tournée in Nuova Zelanda nel ’71 e in Sud Africa nel ’74 e vinse tutto quello che, ai suoi tempi, c’era da vincere nel rugby: le “series” dei British Lions, sei “5 Nazioni” , 3 “Grandi Slam” e 5 “Triple Crowns”.

Ma segnò anche una meta indimenticabile che ancora oggi è considerata la più bella di tutti i tempi: con i Barbarians a Twikenham, nel ’73, contro gli All Blacksrugby lo portò via a un futuro di professionista del calcio con il Swansea Town e a quello di velocista, visto che aveva vinto il campionato giovanile britannico nelle 200 yards.

Molto forte fisicamente, con un baricentro relativamente basso, era in grado di rompere qualsiasi placcaggio non fosse portato con il massimo dell’aggressività Il suo calcio tattico, lungo la linea di touche, da dietro la mischia, fu un’innovazione nel gioco del mediano ed era in grado, in ogni momento, di capovolgere il fronte di una partita.

Con Barry John prima e con Phil Bennett dopo, formò una coppia di mediani rimasti nella leggenda: con il suo gioco, la sua prontezza e il suo passaggio era in grado di “proteggere” il proprio mediano e dargli quelle frazioni di secondo in più necessarie a farlo ragionare e a fargli evitate l’impatto con le terze linee avversarie.

Anche se è sempre stato un dilettante, si allenava con la puntigliosità e la metodicità di un professionista; agli inizi si riteneva debole nel passaggio e sono proverbiali le ore e ore di allenamento proprio a passare il pallone da fermo, tanto che, anche del passaggio, è stato un innovatore, con il pallone che si avvitava su se stesso, acquistando velocità a ogni spirale e con il suo famoso “reverse pass”, il passaggio effettuato dalla parte opposta rispetto alla posizione assunta per il passaggio, che ingannava gli avversari e liberava la sua ala o il suo estremo dalla parte chiusa.

E, a proposito di passaggio, uno dei tanti aneddoti che lo riguardano racconta che, quando in nazionale si trovò a giocare, per la prima volta, con Barry John, di due anni più anziano e già affermato mediano d’apertura del Galles, Gareth gli abbia chiesto come volesse il pallone sul passaggio da fermo e sembra che “King John” abbia risposto: “ non ti preoccupare, butta il pallone dietro e io ci sarò.”

Personaggio allegro e amico di tutti, nascondeva sotto quel carattere una “cattiveria” e una determinazione agonistica che non di rado aiutava la sua squadra a superare momenti critici, come nella sua ultima apparizione con la maglia dei dragoni a Cardiff, nel ’78, in quel 16-7 finale che valse al Galles un altro Grand Slam.

A pochi minuti dalla fine della partita, il Galles stava vincendo 13 – 7 ( a quei tempi la meta valeva 4 punti), ma la squadra pareva imbambolata, quasi incapace di reagire agli attacchi disperati dei francesi: potevano passare in vantaggio e sarebbe stata una beffa.

Fu allora che Edwards uscì da una mischia e da una posizione abbastanza difficile lasciò partire un drop che centrò i pali, portò il Galles oltre il “break” (la possibilità di essere raggiunta con una meta trasformata), diede una “bastonata” al morale dei francesi e portò al Galles un’altra vittoria.

E furono proprio le ultime tre stagioni, le migliori in assoluto nella carriera di Gareth Edwards che, ancora nel pieno della sua vigoria fisica, aveva raggiunto un livello tecnico e tattico davvero unico, tanto che era stato destinato a guidare la Turnée dei Lions in Nuova Zelanda del ’77, alla quale, però, rinunciò, per una serie di motivi personali.

Paradossalmente, a questo sportivo che i suoi stessi compagni definiscono ancora oggi un fenomeno, una capacità mancò o, comunque, non fu alla sua altezza: quella di essere capitano, in uno sport dove il capitano conta forse più dell’allenatore.

Era troppo coinvolto nel gioco, una sorta di trance agonistica che gli impediva di svolgere, nel migliore dei modi, le funzioni di skipper.

Nonostante questo capitanò il suo Paese 13 volte, la prima soltanto un anno dopo la sua prima convocazione.

Si ritirò dalla scena internazionale nel ‘78, per , come disse lui stesso, “andare a pescare salmoni”.

La sua biografia, uscita la prima volta nel ’79, e che continua a essere pubblicata sempre con nuovi aggiornamenti, è il libro sul rugby, che ha venduto di più nel mondo.

Oggi, Gareth Edwards, alla soglia dei sessant’anni, rimane ancora un punto di riferimento nel rugby gallese e mondiale; è manager del Cardiff, la squadra nella quale è cresciuto.


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