Pro12, tra comunicati e veleni si gioca il futuro

Olivier dalla piazzola Brutto periodo per le due realtà italiane in Rabodirect Pro12, Benetton Treviso e Aironi Viadana. Le due posizioni non sono, comunque, assimilabili. Mentre Treviso, forte di una precisa identità e di un progetto tecnico basato su una solida cultura rugbistica, prosegue la sua via (discutibile come ogni cosa ma ben tracciata) gli Aironi sbandano paurosamente. Non è mai piacevole constatare che la realtà conferma previsioni fosche, ma in questo caso è così.

Come previsto, quasi allo scadere dei primi due anni di vita la compagine viadanese fa i conti con la realtà.

Sono ormai di dominio pubblico le dimissioni del presidente Melegari e del vice-presidente della Federugby Barzoni.

La decisione, che di fatto decapita la leadership della società, arriva dopo uno scambio di comunicati al veleno con la FIR.

Non ci interessa entrare nel merito di una questione, del resto conosciuta dai lettori di questo blog, nella quale ciascuna delle parti in causa accampa le proprie ragioni.

Quello che preme sottolineare è che la gestione dei rapporti con le uniche due realtà professionistiche del movimento ha generato una dinamica che va, nel bene di tutti, completamente rivista tenendo presente due pilastri fondamentali dell’operazione : 1) il rugby italiano è entrato nel Pro12 con due squadre (ed è auspicabile che presto diventino almeno tre) con lo scopo di creare un livello formativo per i migliori talenti prodotti dai nostri vivai, così da renderli pronti per gli impegni della Nazionale ;

2) che una realtà sportiva professionistica si governa con criteri aziendali (competenze e professionalità) e si colloca in piazze capaci di generare ritorno economico.

Detto questo, non si può non guardare con invidia Oltralpe dove, in un contesto rugbistico evoluto e da sempre esempio per l’Italia come quello della Francia, si sono appena tenuti gli Stati Generali del rugby francese perchè le sue componenti potessero partecipare all’individuazione delle linee guida per i prossimi anni.


8 Responses to “Pro12, tra comunicati e veleni si gioca il futuro”

  • Bruno Says:

    I nodi stanno arrivando al pettine. La questione Celtic league è l’ennesimo castello di carte messo sù da questa federazione pasticciona e incompetente. Treviso e Viadana (chiamiamo le cose con il loro nome invece di usare il termine franchigie che serve solo a gettare fumo negli occhi e a scimmiottare realtà estere ben più serie) dopo aver gonfiato un mercato interno e portato l’eccellenza alla rovina, hanno pensato bene di prosciugare ulteriolmente le casse FIR (e quindi di tutto il movimento) per i loro sogni di gloria. E ancora battono cassa !!! Due franchigie vere, che coinvolgessero tutti club, con base in due grandi città (Roma e Milano ad esempio) agganciate al fenomeno sei nazioni in termini di brand e sponsors, avrebbero avuto maggiori possibilità di successo di queste due misere realtà che si reggono a galla a malapena. Viadana è alla frutta. Treviso seguirà a breve appena benetton chiuderà i rubinetti (e non manca molto).
    Credo che il rugby italiano sia ormai inesorabilmente destinato a pagare errori su errori commessi in questo decennio, ed il declino sarà molto rapido. Qui c’è da azzerare tutto e ricominciare, sperando che al timone ci sia qualcuno con una visione tecnica, ma soprattutto manageriale, degna di questo nome. Dondi e la sua ciurma di yes-man devono andarsene subito, tanto mi pare che si siano già arricchiti abbastanza sulla pelle di questo nostro povero rugby italiano.

  • Max Says:

    Rispondo a Bruno. Dal tuo scritto che in parte è anche condivisibile traspare chiaramente che il campanilismo italiota è sempre presente e che vige la legge del quatrierino… Immagino tu sia di Milano o Roma o di zone limitrofe per perorare le cause di franchigie in queste metropoli. DImentichi solo una cosa: che il rugby in queste realtà non è mai stato seguito e con la franchigia se ne avvicini 2000 sono tante…e proporzionalmente sono meno che a Treviso o Viadana.. piazze dove si mangia pane e rugby.. E gli sponsor si avvicinano solo se c’è ritorno di pubblico e interesse e non perchè giochi a ROMA o MILANO ( dove il calcio impazza…).CIAO

  • Alessandro Says:

    @Max : grazie per il tuo intervento al quale mi fa piacere dare seguito.
    io sono di Roma ma, come ho già scritto molte volte e non mi stancherò di ripetere, penserei quello che sto per scrivere anche se fossi di Mondovì o di Caltanissetta. Io condivido ciò che dice Bruno perchè parte della mia formazione ha riguardato studi ed esperienze lavorative di marketing sportivo il che mi fa ritenere che – come contraddittoriamente dici anche tu – gli sponsor si “seducono” solo “se c’è ritorno di pubblico e interesse”. Ciò è più facile che avvenga in bacini come Roma o Milano per motivi numerici e di interesse economico. Che il rugby a Roma e Milano non sia mai stato seguito non risponde a realtà, mi spiace. A parte diverse esperienze a livello di club del passato (3000 presenze non erano rare al Tre Fontane quando la Rugby Roma era all’altezza di un campionato interessante come quello italiano dei decenni precedenti…) ricordarti che a Roma sono recentemente accaduti episodi di una certa rilevanza (oltre 72.000 spettatori ….) mi sembrerebbe inutile eppure il tuo intervento lo richiede. Senza alcuna polemica campanilistica – ti prego di credermi anche se non mi conosci di persona – io credo fermamente che il vertice del nostro movimento andrebbe organizzato con due o tre franchigie (VERE franchigie …) professionistiche basate in realtà metropolitane e gestite da professionisti e un campionato nazionale con club prevalentemente in piccoli centri con forte identità territoriale sostenuti, in parte, dalla Federazione. Spero di essermi spiegato chiaramente e di averti dimostrato che il campanile, con questa visione che credo Bruno condivida, ha nulla a che fare.
    Grazie e a presto!

  • Max Says:

    Alessandro ringrazio Te della risposta.. solo due precisazioni: un conto è la nazionale e un conto è una franchigia o pseudo tale…Seconda cosa mi insegni tu che uno sponsor cerca ritorni di immagine e solo con le TV, trasmissioni dedicate , manager di un certo livello ( vere e non con la pagliacciata di quest’anno…) il ritorno è possibile… Certamente 3000 persone a ROMA sono una goccia nel mare rispetto alle 3000 che vengono a Treviso o Viadana.. Sono viceversa d’accordo con Te che ormai anche il nostro movimento e le nostre società devono essere gestire a livelo manageriale , con competenza e visione commerciale… Se si vuole crescere è necessario impostare le franchigie in questo modo. Relativamente al VERE franchigie gli AIRONI ( pur con i limiti sportivi e non..) lo sono veramente… Non lo è affatto Benetton… Personalmente ero favorevole ai Pretorians ma evidentemente i criteri si scelta mi “sfuggono”.
    CIAO A presto…

  • Alessandro Says:

    Vero che Nazionale e franchigie sono cose diverse, ma il mio parere è che, con le dovute proporzioni, queste dovrebbero seguire un modello professionistico ricalcato dalla Nazionale quanto a organizzazione. Del resto i giocatori sono gli stessi … A proposito, se ti capita di leggere La Stampa di oggi c’è un interessante articolo sulla crisi del volley italiano, spesso preso ad esempio anche nel nostro mondo. Andrea Lucchetta prende ad esempio il rugby per qualcosa che, in realtà, ancora non abbiamo fatto : mettere pochi club professionistici nelle metropoli!!! Sembra ci stesse ascoltando… Stimolate dibattito, grazie ancora!

  • Max Says:

    In italia siamo maestri nel fare e disfare per il solo gusto di essere contro qualcun altro o contro il vicino di casa… Fino a quando saremo l’Italia dei COMUNI in ogni settore sportivo di strada ne faremo poca se non con singoli episodi … Lancio una provocazione: perchè non creare una franchigia composta nella compagine societaria da una sorte di azionariato popolare tra tutti i veri appassionati di RUGBY? In questo modo si che gli sponsor si avvicinerebbero, con migliaia di soci/tifosi e si creerebbe un effetto domino . Naturalmente dovranno essere eletti dei gestori, un CDA che risponda alla gente ( ai soci quindi) del proprio operato. Sede di gioco itinerante in tre, quattro localitò.
    I “pallonari” ci stanno riuscendo pur tra mille difficoltà a entrare con rappresentanti nelle società di calcio..non vedo perchè il tifoso del RUGBY che ha senso di appartenenza al movimento prima , alla propria squadra poi…non possa aderire!!

  • Bruno Says:

    Torno sull’argomento per un paio di precisazioni soltanto, visto che condivido pienamente quanto già esposto da Alessandro.
    Il mio intervento non era dettato da campanilismo italiota (termine peraltro abbastanza offensivo che stà a significare italiano idiota). Ho sottolineato infatti l’importanza di coinvolgere tutti i club italiani (non dimentichiamo che ci stiamo perdendo il sud per strada) e di “basare” le franchigie nelle grandi città, senza per questo impedire loro di essere itineranti e di portare il rugby che conta su più piazze possibili.
    Seppur in ambito diverso anch’io mi occupo di marketing e sò quanto i grandi numeri siano importanti per gli sponsors.
    Il “campanile” paradossalmente è proprio quello che invece stà generando il flop della nostra partecipazione alla celtic league. Gli interessi di bottega locali sono stati proprio quelli di treviso e viadana che semplicemente non possono essere il fulcro dell’alto livello se davvero vogliamo fare il salto di qualità. La struttura e lo scopo dei club neozelandesi (tanto per fare un esempio con i campioni del mondo in carica) vede lo sviluppo del rugby di base a livello di piccole città e villaggi, ma le franchigie (che significano professionismo e sponsors) sono poi basate sui centri più importanti. Fino ad arrivare agli all-blacks che vengono “esportati” anche fuori confine come hong kong laddove ci siano le possibilità di muovere tanta gente e tanti soldi. Il nostro brand è la nazionale ma ad essa non abbiamo associato il rugby come prodotto vendibile al di fuori degli eventi istituzionali (sei nazioni o il circo all-blacks appunto). Ma l’analisi da fare sarebbe qui troppo lunga. Mi limito a dire che non abbiamo una dirigenza federale capace, per estrazione, età e mentalità, di gestire uno sport professionistico ad alto livello, e che per convenienza e facilità ha preferito appoggiarsi a due entità locali limitate nel loro bacino per ovvii motivi, piuttosto che intraprendere una strada nuova e presentare un piano credibile e vincente.

  • Sergio Says:

    Tra l’altro la questione della presenza allo stadio è un falso problema. Vero che a Viadana forse fanno 4.000 spettatori in uno stadio da 5.000, ma se la logica è «Meglio 4.000 spettatori in uno stadio da 5.000 che 8.000 in uno stadio da 15.000» allora va bene pure fare le franchigie a Rocca di Mezzo o a San Benedetto del Tronto (con tutto il rispetto per le due cittadine, ci mancherebbe). Se la logica invece è avere 8.000 spettatori in una grande città (non è che il rugby di club muova folle oceaniche anche nei Paesi di solida tradizione, gli 80.000 spettatori li fai solo a Twickenham o allo Stade de France in occasione della Nazionale o della finale di HC) per acquisire visibilità allora ci sta tutto il discorso di Alessandro: club ovunque per intercettare il movimento sul territorio, e franchigia di riferimento nella metropoli.

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